Domenica, 05 Marzo 2023 06:55

Lombardo, il nuovo Segretario PC: “Né sinistra né destra vogliono fermare la strage dei migranti, ecco perché” In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 3 marzo 2023 (Quotidianoweb.it) - Alberto Lombardo classe '58, laureato in Scienze Statistiche ed Economiche, docente universitario di Palermo è il nuovo segretario del Partito Comunista dal 23 gennaio 2023: "Il Comitato Centrale del Partito Comunista ha approvato a larghissima maggioranza (5 voti contrari 1 astenuti) i documenti del 4° Congresso Nazionale”.

Mentre, Marco Rizzo, è stato nominato Presidente Onorario del PC. Abbiamo incontrato il segretario Lombardo per parlare di temi universali come la giustizia sociale, di migrazione, ma anche di Elly Schlein e del panorama politico italiano.

Lei è il nuovo segretario del PC. Cosa significa guidare il partito comunista oggi?

Dire che è una grande responsabilità è ovvio, ma è anche poco. Siamo nella fase più delicata della storia recente e le ricadute della crisi internazionale sulle condizioni di vita dei popoli europei, e in particolare di quello italiano, sono evidenti. Per questo motivo si è resa necessaria un’accelerazione della nostra politica al fine di realizzare il fronte più largo possibile e contemporaneamente più coeso possibile contro la guerra e coloro che ne sono i veri promotori, secondo noi, gli USA e la NATO. Già da un anno abbiamo dichiarato che questa è la guerra degli USA contro i popoli europei, finalizzata a distaccare la Russia dal resto d’Europa, in preparazione dello scontro diretto contro la Cina. Ovviamente ci sono alcuni monopoli europei, e in particolare italiani, che beneficiano di questa situazione. In particolare chi produce armi e traffica in energia. Mentre tutti gli altri lavoratori gemono sotto il tallone delle conseguenze delle sanzioni e delle loro conseguenze: inflazione, disoccupazione, precarietà.

Questo fronte ampio e coeso che abbiamo promosso insieme alle altre forze politiche che hanno composto la coalizione Italia Sovrana e Popolare, oggi Democrazia Sovrana Popolare, sebbene di ispirazione variegata, si sono trovate insieme a noi a condividere i punti essenziali della proposta politica che travalica il momento elettorale e diventa una coalizione politica che guarda a lungo periodo.

Da comunisti, riteniamo che le nostre rispettive ideologie debbano essere preservate, superando quello che ci differenzia per convergere su quello che ci unisce. Le ideologie sono la base di un pensiero politico di ampio respiro. Quindi vogliamo metterle a frutto insieme a quelle degli altri.

Occorreva quindi attrezzarsi per questo lungo periodo anche dal punto di vista organizzativo. Oggi forse non ci si bada più, ma è indispensabile che uno dei leader della coalizione – mi riferisco al compagno Marco Rizzo, fondatore del nostro partito – venisse alleggerito, come ha chiesto lui, anche della responsabilità di dirigere il Partito e che quindi il Partito avesse una nuova guida.

In una parola più forza alla Coalizione e più forza al Partito.

Nel suo saggio “Karl Marx, 200 anni” ripercorre in modo molto chiaro concetti fondamentali della dottrina marxista, come la merce e il plusvalore, il denaro e il capitale.

Cosa risponde a chi dice che la Falce e Martello è un simbolo obsoleto e superato?

I simboli sintetizzano una storia e senza conoscenza della propria storia non c’è futuro. Oggi potremmo sostituire quei simboli con altri che rappresentano l’immagine del lavoro di oggi: la cuffia di un addetto al call center, la bici di un rider, il montacarichi di un addetto alla logistica, la mascherina di un sanitario, la lavagna di un insegnante…cosa cambierebbe? Nulla. Richiamarsi a quella storia significa indicare ai lavoratori una prospettiva in cui comanda chi lavora e decide quanto, come e per cosa lavorare. Mi indirizzo in particolare a tutti coloro che vivono del proprio lavoro. Dipendenti e autonomi, autoctoni e immigrati, vecchi e giovani, uomini e donne. “Unitevi!”, diceva lo slogan della I Internazionale di Marx ed Engels. E questo è ancora lo slogan che noi lanciamo, contro il potere dei padroni che invece ci hanno diviso e messi gli uni contro gli altri. Proprio quel potere ha fatto di tutto per denigrare quella storia gloriosa ed è per questo che si batte il partito comunista.

Ma se quel simbolo, che per noi è la nostra irrinunciabile storia, è un ostacolo a farci ascoltare dai più, o peggio a dividere anziché unire, quindi il contrario di quello a cui serve, allora certe volte lo useremo quando è utile e certe volte ne useremo un altro. Non sarebbe la prima volta che accade. Si tratta di vedere se lo scopo è quello di contrastare il potere col massimo di forza o accucciarsi sulle sue ginocchia, come ahimè abbiamo assistito nella triste parabola da Bertinotti in giù.

I comunisti non hanno riti sacri, hanno un fine: cambiare la società nella direzione di quello che noi chiamiamo socialismo e che è la prospettiva verso cui oggi sempre più persone si stanno orientando come unica alternativa alla barbarie bellicista e oppressiva della società occidentale.

Nel libro tratta anche temi attualissimi, come quello dell'immigrazione, alla luce degli scritti del filosofo ed economista tedesco, di incredibile modernità. Pochi giorni fa si è consumata l'ennesima strage a Cutro, il 26 febbraio. Il fenomeno migratorio, che a parole democratici e centrodestra gareggiano a voler limitare, è in realtà funzionale al sistema per abbassare salari: una guerra tra poveri alimentata dalla destra, pietismo senza cuore rimpinzato dalla sinistra progressista.

Proprio oggi ho scritto queste righe: “Volevamo braccia e sono arrivate persone”. La tragedia avvenuta sulle coste calabresi ci obbliga a una riflessione. Si è scatenato ancora una volta il teatrino delle due facce della stessa medaglia. Il meccanismo è sempre lo stesso. Le due parti assumono una posizione opposta, litigando furiosamente.

Le vite vanno salvate sempre e in modo prioritario. Vero.

I disperati che arrivano illegalmente nel nostro paese sono destinati a un futuro di sfruttamento. Vero anche questo.

Ci angosciano i sessanta morti che vediamo sulle nostre coste, ma non i quattrocento milioni, ripeto quattrocento milioni di profughi che oggi ci sono complessivamente nel mondo. Tra questi, 70 mila in Libia, prigionieri di un regime asserragliato a Tripoli e sostenuto solo dall’Occidente e in particolare da tutti i governi italiani che si sono succeduti.

Sono le guerre e il saccheggio dei paesi perpetrati dall’Occidente che continuano ad alimentare questa condizione: Siria, Libia, Afghanistan, Africa subsahariana.

Gli “ingressi programmati” prosciugano una goccia in questo mare di disperazione e non è vero che risolvono la crisi demografica del nostro paese, ma abbattono le condizioni di tutti i lavoratori, autoctoni e immigrati. O si ferma l’imperialismo occidentale o parliamo del nulla e continuerà il teatrino, utile solo a chi vuole nascondere la verità.

L'Europa punta a mantenere un certo tasso di disoccupazione mentre gli stati che la costituiscono vorrebbero contenere il più possibile il numero di coloro che non lavorano.

Il discorso è molto complesso. La contraddizione fondamentale del capitalismo, possiamo dire fin dai tempi di Marx ed Engels, è che per fare profitti i capitalisti devono far produrre ai lavoratori più di quanto essi consumano, ma d’altro lato, devono trovare qualcuno a cui vendere il sovrappiù. Per questo sono opportune sacche di consumatori che non producono, ma campano a spese dei produttori, così come sono utili sacche di lavoratori disoccupati che abbassano il costo della forza-lavoro. La via d’uscita maestra per il capitalismo è sempre stata la crisi come “distruzione creativa”, il cui principale strumento sono le guerre imperialiste, come ci ha insegnato Lenin. La tecnologia oggi fa sì che si restringe sempre più la base produttiva dei lavoratori, che devono produrre sempre di più. Da qui il cannibalismo tra monopoli e tra nazioni a cui la crisi cronica del capitalismo ci ha portato. Le bolle finanziarie sono solo una conseguenza parossistica di questo fenomeno.

Come possiamo commentare la vittoria di Elly Schlein alle primarie del PD?

Schlein è una novità...stantia. “Così come sono stata d’accordo a sostenere l’Ucraina, sono contraria all’aumento lineare della spesa sulle armi in tutti i paesi Ue” ha dichiarato.

Ciò che c’è da dire sulla Schlein si può sintetizzare in queste sue parole: una tinta di rosa alle armi da inviare in Ucraina. Lei sottolinea l’urgente necessità di aumentare la spesa delle armi ma non in modo “lineare”, qualunque cosa voglia dire questa parola, ci sembra buttata lì a effetto. Come è stata a effetto tutta la sua campagna per le primarie. 

Lei è stata una volontaria per Barack Obama, e in accordo con Biden -l’uomo che ci ha precipitato nella terza guerra mondiale.

Non posso giudicare la buona fede personale di Schlein quando parla di precariato, Jobs Act, servizi pubblici, cioè di tutte le nefandezze di cui si è coperto il partito che oggi è chiamata a dirigere. Certo l’impudenza è tanta.

Invece i punti cardinali sono due. Il totale sostegno alle politiche guerrafondaie spacciate per pacifismo e il sostegno alle politiche di transizione al capitalismo informatico spacciate per ecologismo. Tutto quello che riguarda i diritti civili è la pittura rosa su uno scenario grigissimo.

Due come le donne al timone dell'Italia, ammesso ci sia davvero qualcuno della nostra classe dirigente al timone di Palazzo Chigi...

Dal punto di vista mediatico un ottimo colpo. Ora le polemiche inutili nella classe politica non le faranno più vecchi e noiosi barbogi, ma due donne giovani e “aggressive” nel loro genere, collocate nelle due squadre avversarie, ma sempre più uguali. Insomma a favore di telecamera ci stanno proprio bene.

Il premier Meloni nel 2014 chiedeva di revocare le sanzioni alla Russia e si opponeva all'ingresso dell'Ucraina nell'Ue, affermando che questo andava contro i nostri interessi: “Le sanzioni dell’Unione europea contro la Russia Una decisione scellerata” con conseguenze “pesantissime per le nostre aziende e il loro indotto” . Su cosa ha battuto la testa?

Sull'Ambasciata statunitense a Roma.

Il nuovo servo deve dimostrare al padrone di essere più ligio del vecchio servo.

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