Domenica, 04 Febbraio 2024 07:16

Il realismo aristotelico-tomista contro le derive della modernità In evidenza

Scritto da Prof. Daniele Trabucco

Di Daniele Trabucco Belluno, 4 febbraio 2024 -  Il realismo aristotelico-tomista considera, come unica e sola ipotesi di conoscenza, il fatto che il pensiero dell'uomo assimili, mediante l'attività  di ricerca, le dimensioni intellegibili di un mondo, di una realtà, che è distinta dal soggetto e che gli sta innanzi.

Sebbene, dunque, ogni cosa, ogni ente, venga conosciuto dalla persona umana mediante il pensiero, la sua conoscenza non è la causa dell'esistenza del reale. A questo si aggiunga che non è possibile conoscere i diversi livelli della realtà con un solo metodo (e qui risiede il limite di Aristotele). Questo consente al realista, da un lato, di non ignorare il progresso delle scienze, dall'altro di preservare l'approccio metafisico inteso come scienza dell'essere.

La prospettiva filosofica ora descritta consente, pertanto, di rigettare con forza il pensiero moderno dal quale scaturiscono il relativismo e il nichilismo contemporanei. Quando Cartesio (1596–1650) impone un metodo scientifico–matematico per la conoscenza della realtà, sulla quale egli aveva posto il dubbio prima metodico e poi iperbolico, questo conduce non alla conoscenza delle cose in sé  (Kant (1724–1804) parlerà della inconoscibilità del noumeno), ma a quella di un certo numero di idee (non intese in senso platonico) quali rappresentazioni della realtà la quale viene, in questo modo, frazionata "in entità  immaginarie che non ne sono che la falsa moneta" (così Étienne Gilson (1884–1978)), o meglio in "fenomeni, per utilizzare un kantismo, che sono tali unicamente in virtù del soggetto conoscente.

Le conseguenze idealistiche del pensiero cartesiano, il quale si colloca all'inizio della modernità, sono evidenti: si parte dall'essere conosciuto dell'oggetto e non dal suo essere reale. Si tende, in altri termini, con l'assunzione della prospettiva idealistica, ad una riduzione dell’essere al pensiero in modo arbitrario poiché postulato dalla volontà.

L’illusione, di cui soffrono i tentativi di questo genere, è il ritenere che si possa trarre una ontologia da una teoria della conoscenza e che si possa trovare nel pensiero, con un metodo qualsiasi, qualcosa che non sia il pensiero stesso. Il vero suicidio dell'Occidente sta proprio in questo.

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(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.

Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.

Sito web personale

www.danieletrabucco.it