Domenica, 28 Gennaio 2024 10:29

L’uomo ha un dono che poche creature hanno: l’empatia. (Video) In evidenza

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Questa capacità ha, tuttavia, dei limiti.

Di Giorgio Militano Parma, 28 gennaio 2024 - Possiamo empatizzare in prima persona, provando o avendo provato emozioni simili o quasi del tutto uguali a quelle del soggetto con il quale ci stiamo confrontando e possiamo anche empatizzare in terza persona, vedendo qualcuno provare un’emozione.

Verosimilmente il soggetto in questione somatizzerà gli effetti dell’emozione provata, aprendoci uno spiraglio di visuale sulla sua anima.

Non possiamo però empatizzare in “quarta persona”.

Dove con quarta persona si intende un qualsiasi altro metodo comunicativo riguardante le emozioni, tant’è che quando ci capita di leggere una notizia di cronaca nera o riguardante un disastro avvenuto in una nazione lontana, per quanto perfettamente in grado di capirne la portata e la gravità non ne veniamo, quasi mai, toccati.

Da questa riflessione è scaturita in me la necessità di aprire nuovi sentieri empatici nell’animo umano, cercando di forzare il paradigma, per far si che ognuno di noi possa imparare a sentire le emozioni altrui come fossero le proprie.

Farlo non è di sicuro semplice, ma per provarci mi sono aggrappato al più ancestrale dei nostri bisogni come specie: l’espressione artistica.

Da quando il primo uomo si alzò in piedi, abbandonando la sua natura istintiva e accogliendo un’esistenza fatta di dubbi, come specie abbiamo sentito il bisogno di esprimerci.

Mi sono appellato all’ora agli antenati, nel tentativo di risvegliare quest’altrettanto antica capacità.

Ma come farlo?

La risposta è semplice, spiegarla lo è meno.

Traumi: il metodo più efficace che l’uomo ha di evolvere.

Con il venir meno degli istinti e la nascita del sistema del dubbio, noi, come specie, abbiamo smesso di sapere come muoverci nel mondo e abbiamo cominciato a interrogarci su quale fosse il modo migliore per farlo.

L’unica via per scoprirlo era quella del trauma: provare, sbagliare, pagarne le conseguenze e correggere la mira.

Questo ha portato l’homo ad evolvere sia come individuo che come specie.

Basandomi su questa consapevolezza ho deciso di elaborare un preciso modus operandi, che ho chiamato “Metodo Origami” per tentare di risvegliare l’empatia umana.

Sul nome ci torniamo tra poco, prima cerchiamo di capire in cosa consiste questo metodo.

Si basa tutto sulla generazione artificiale di un trauma, seguita dalla risoluzione dello stesso attraverso l’espressione artistica, nella speranza che la fruizione dell’opera generata porti lo spettatore a ripercorrere il processo a ritroso, venendo a conoscenza delle domande generatrici della riflessione.

Una volta compreso il trauma, lo spettatore sarà portato ad interrogarsi sulle questioni poste trovando in autonomia le proprie risposte.

Potremmo descrivere questo processo come un origami, creato da qualcuno e lasciato su una panchina.

Sedendosi, prima o poi, un passante noterà l’origami venendone incuriosito dalla complessità.

Solo smontandolo, tuttavia, potrà capire come è stato realizzato, decidendo in un secondo momento se ricostruirlo in maniera identica, produrre variazione sul tema o lasciare il foglio spiegazzato nel suo stato originale.

Allo stesso modo lo spettatore potrà, una volta comprese le domande, cercare le proprie risposte rivedendosi in quelle dell’artista, trovandone di nuove o decidendo di non portare a termine il compimento di questo processo.

La forza di origami sta nella potenza dell’immersività.

Infatti, ricreando situazioni e sensazioni in percentuale congrue alla realtà altrui, saremo in grado di provare emozioni originali, percentualmente simili a quelle generate dalla situazione emulata.

Per testare questo metodo mi sono interrogato su di uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi della nostra epoca, quello israelo-palestinese, cercando di auto-generare un trauma che mi permettesse di comprendere la sofferenza del popolo palestinese e le ragioni di quello israeliano.

Il risultato è una denuncia sociale, non politica, basata sulla sofferenza del popolo palestinese e volta a ricordare all’occidente che anche le persone che non rispondono alla categoria di “occidentali” restano persone e che anche la loro vita ha un valore.

Voltarsi dall’altra parte di fronte alle atrocità della guerra non è un modo di risolvere il problema, ma solo di evitarlo, sperando che qualcun altro se ne occupi al posto nostro.

Nonostante le categorizzazioni, nonostante la provenienza, nonostante il patrimonio culturale di appartenenza: siamo tutti esseri umani.

Ci invito quindi a riflettere sulla nostra tendenza a girarci dall’altra parte di fronte ai disagi altrui, che questi siano impersonati da un clochard, che incontriamo lungo il nostro tragitto casa-lavoro, o da un popolo di civili che subisce inerme le conseguenze di una guerra impari e indesiderata.

Vi lascio, dunque, con questa riflessione:

“Credo che il mondo sia un posto fantastico.

Mi guardo intorno e ovunque i miei occhi si posino vedo bellezza.

Vedo l’acqua scorrere morbida lungo le rive di un torrente,

Vedo le foglie ocra volteggiare nell’aria prima di toccar terra,

Vedo due ragazzi che si amano,

Vedo due bambini giocare,

Vedo i loro genitori scherzare con un grosso sorriso sul volto.

Vedo un rondine planare leggiadra sulla mia testa:

Immagino la città dall’alto,

Immagino i tetti rossi,

Immagino i prati infiniti assumere sembianze microscopiche,

Immagino quanto bella possa essere la bellezza dall’alto.

Con la coda dell’occhio vedo due bambini litigare, per un giocattolo, È subito guerra.

Credo che il mondo sia un posto orribile.

Mi guardo intorno e ovunque i miei occhi si posino vedo morte.

Vedo il sangue scorrere denso tra le crepe dell’asfalto,

Vedo bombe grigie che piovono dritte dalla pancia degli aerei prima di toccar terra,

Vedo due ragazzi che piangono, si fanno forza,

Vedo due bambini seduti nel corridoio di un pronto soccorso, hanno perso la famiglia,

Non vedo i loro genitori.

Vedo un drone scivolare silenzioso tra le nuvole:

Immagino la città dall’alto,

Immagino le macerie grigie,

Immagino le distese di cadaveri infinite assumere sembianze microscopiche,

Imagino quanta paura possa fare la morte dall’alto.

Con la coda dell’occhio vedo due bambini tenersi la mano tra la polvere e i detriti.

È subito pace.

Mi chiedo allora dove siano gli adulti quando i bambini litigano, mi chiedo che fine abbiano fatto gli altri bambini.

Mi chiedo perchè non tutti i bambini abbiano un giocattolo,

Mi chiedo perchè litighino invece di giocare insieme,

MI chiedo chi gli abbia insegnato a litigare.

MI chiedo perchè dopo averli visti litigare, gli altri bambini stiano prendendo le difese di una o dell’altra parte invece che cercare di dividerli.

Mi chiedo cosa ci si aspettasse se non questo,

Mi chiedo quanto fosse prevedibile,

Mi chiedo quanto fosse evitabile.

Forse il mondo è un posto incredibile, ma l’uomo è un essere ignobile.

Forse l’uomo ha dimenticato di non essere un animale.

Come si può conferire ad un animale il potere di un dio?

Cosa potrebbe farne se non alimentare i suoi più primordiali istinti?

Come si può conferire ad un dio un istinto animalesco?

Cosa potrebbe farne se non esercitare in modo sconsiderato il suo potere?

Forse l’uomo ha dimenticato di non essere un dio.

Forse l’uomo ha dimenticato come essere uomo.

Come possiamo voltarci dall’altra parte di fronte a due bambini che litigano?

Come possiamo voltarci dall’altra parte se uno dei due si fa male?

Come possiamo voltarci dall’altra parte di fronte alla legge del più forte?

E ancora, come possiamo voltarci dall’altra parte di fronte alla morte?

Quale descrizione del mondo vogliamo che ci appartenga?

E a quale apparteniamo noi?”

 

Chi è Giorgio Militano: linktr.ee/moonysreal