Venerdì, 10 Novembre 2023 08:35

Striscia di Gaza o “La prigione più grande del mondo”, di Ilan Pappé In evidenza

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Storia dei territori occupati. Israele doveva apparire invincibile e indifeso insieme, David e Golia in un solo, illegittimo, corpo statale.

Di Giulia Bertotto Roma, 9 novembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Il 31 ottobre e 1° novembre 2023 il campo profughi di Jabalya, a nord di Gaza, veniva bombardato dalle forze israeliane. Non era la prima volta che questo luogo si trovava protagonista delle cronache più nere del Medioriente. Nel 1987 un camion israeliano uccise 4 residenti del campo, e da alcuni analisti è considerato l’episodio che scatenò la prima Intifada.

Ce lo racconta il coraggioso storico israeliano Ilan Pappé ne “La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati” (Fazi, 2022) un lungo e agghiacciante studio sui crimini compiuti da Israele in territorio palestinese; dalla Nakba del 1948, al ruolo variabile e ambiguo degli Usa, le pressioni della lobby ebraica AIPAC nel deep state americano, il silenzio del Vaticano, gli armamenti ricevuti dalla Francia, le richieste di ritiro senza condizioni da parte di Mosca, le pressioni ONU sempre poco autoritarie. L’autore riporta anche innumerevoli dichiarazioni scioccanti dei ministri che si sono succeduti nelle amministrazioni d’Israele, volte alla manipolazione dell'opinione pubblica internazionale e interna.

E al centro di questa intricata e spietata matassa di interessi internazionali, il popolo palestinese senza rappresentanza ed esercito, ostia sacrificale di un dio che nessuno in questa storia sembra onorare.

DAVID E GOLIA CONTEMPORANEAMENTE

Uno dei momenti cruciali su cui l’autore si sofferma di più è il giugno 1967, un solo mese in cui la faccia del Medioriente cambiò, con un’altra ondata di espulsioni violente e la massiccia sostituzione etnica di autoctoni con i coloni (dopo la cacciata del ’48), a partire dal quartiere della Città Vecchia di Gerusalemme.

L’autore offre una disamina capillare degli insediamenti militari e civili sul suolo palestinese, i cosiddetti “cunei”, opere di cementificazione di grandi complessi funzionali a interrompere la contiguità territoriale e sociale degli occupati e isolarli[1], dettagliate mappe della trasformazione del piano urbanistico, con tanto di ebraicizzazione delle strade, topografie dell’offesa con antichi cimiteri islamici e monumentali come quello di al-Istiqlal spezzati da autostrade. Una frammentazione decisa a tavolino con recinzioni spinate e coprifuoco. E se qualcuno non rispetta le regole dell’occupante, ecco partire spedizioni di militari per effettuare arresti arbitrari, interrogatori-torture, punizioni collettive, controlli casa per casa, razionamento di acqua ed elettricità.

Nei decenni successivi la violenza si è progressivamente inasprita, del resto è tipico di chi non riesce a controllare con i soprusi, amplificarne la portata: coltivazioni bruciate, case rase al suolo, beni confiscati, infrastrutture distrutte, lancio di armi illegali per il diritto internazionale, interdizione dell’accesso al mare -ossia alla pesca- una delle prime fonti di reddito per la gente della Striscia. La popolazione palestinese della Cisgiordania e soprattutto della Striscia veniva lentamente affamata, costretta all'infiacchimento fisico e psicologico, alla morte, cioè alla resa demografica e alla sconfitta morale.

Ma i palestinesi hanno continuato a esistere come atto di resistenza.

Le élite sioniste progettavano di edificare una prigione per quasi due milioni di persone e intanto si presentavano al mondo come costruttrici di pace; dovevano far credere all’opinione pubblica interna che ci fosse il pericolo di un nuovo Auschwitz e al contempo far sapere agli altri governi che l'esercito di Gerusalemme non aveva rivali. Dovevano apparire invincibili e indifese insieme, David e Golia in un solo, illegittimo, corpo statale.

“IL BASTONE E LA CAROTA”

Che fare con tutta quella gente, esuli, donne e bambini? Alla pulizia etnica Israele aveva trovato il modo di affiancare lo sfruttamento delle braccia palestinesi: mortificanti punizioni e altrettanto umilianti premi economici, questa la pratica di abuso del “bastone e la carota”; dove il bastone sono gli arresti arbitrari e le persecuzioni, e la carota è il lavoro a bassa retribuzione e senza diritti come ricompensa per la “buona condotta”[2].

Dagli anni ’70 il governo sionista rese ancora più stretta la dipendenza economica dal mercato del lavoro israeliano, e in caso di ribellioni anche non violente, l’occupante sionista rispondeva con il respingimento punitivo di lavoratori, finendo per strozzare ancora di più l'economia palestinese. Un circolo vizioso di barbarie che non faceva che rendere ancor più necessario l’uso della forza per far accettare agli abitanti di Gaza la supremazia del colonizzatore.

Lo storico fa emergere come il dominio criminale di Israele sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza sia stato platealmente mistificato; un progetto coloniale giustificato dalla ricerca e dall’attesa di negoziati di pace che però Israele stesso rendeva sempre più lontani e difficili, una smania di sterminio coperta dall'esigenza della sicurezza, dal pretesto del “diritto di Israele a difendersi”.  

L’INGANNO SIONISTA AL MONDO E ANCHE AL POPOLO EBRAICO

Nei decenni dal 1967 al 2000 si inasprisce anche la militarizzazione del suolo occupato e l’indottrinamento della popolazione ebrea, al fine di un massacro razziale sistematico; una pedagogia dell'odio insegnata fin da piccoli, un’educazione della paura che satanizza la resistenza e deumanizza gli arabi.

Purtroppo però, spesso i coloni hanno costituito frange violente e hanno entusiasticamente accettato di radunarsi in “unità di difesa regionale” e non di rado, spiega Pappé, i tribunali hanno lasciato loro mano libera per aggredire e anche uccidere i palestinesi.

Quella che ci racconta Pappé è la storia di come Israele ha ingannato il mondo parlando di pace mentre fomentava la guerra contro la Siria e l’Egitto, di come ha utilizzato l’olocausto patito per progettarne un altro a danno della popolazione palestinese, piangendo il proprio esodo e contemporaneamente mettendo in atto una pulizia etnica mai vista.

L’OBIETTIVO, IL PROBLEMA E LA PROPAGANDA

L’obiettivo era affermare uno stato di Israele intoccabile con “Gerusalemme capitale eterna”, il problema era annettere il territorio senza includere la popolazione, e la propaganda quella di combattere il terrorismo, attentati suicidi che effettivamente ci furono e negli anni aumentarono.

L’obiettivo non era considerato negoziabile -come dimostrano le più di 60 risoluzioni ONU calpestate e il vertice di Camp David-, il problema veniva rimandato costantemente come una questione imbarazzante ma poco importante, e la propaganda trova eco mediatica ancora oggi.

Scorrendo le pagine arriviamo alla prima Intifada dal 1987 e alla seconda Intifada dal 2000, dopo quella che Pappé chiama la “farsa di Oslo” e l’ascesa di Hamas. Hamas aumentava i consensi e intanto il muro dell’apartheid, (dal 2002) si innalzava, con le sue recinzioni elettrificate e le postazioni dei cecchini. L’embargo del 2007 sulla Striscia diede il colpo di grazia alla sopravvivenza ai prigionieri della Striscia.

E in questo scenario tormentato il peggio doveva ancora venire, con il passaggio dal modello della “prigione aperta” al sistema “carcere di massima sicurezza” descritto negli ultimi capitoli.

Il fiato poi si mozza per quello che ancora non è scritto e sta accadendo sotto ai nostri occhi senza il filtro delle pagine.

Questo libro è una scatola nera quando ogni memoria è perduta, è un’arma contro la menzogna, uno scudo che difende senza usare corpi umani, uno strumento necessario per non cadere nella propaganda del più forte, una prova di crimini contro l’umanità che si vuole insabbiare nella polvere di chi è senza sepoltura.

 

[1] “incistamento”, Glenn Bowman, pag. 207

[2] “In tutto il mondo, esisteva un solo contesto in cui vigeva un nesso del genere: il carcere moderno” e la Palestina occupata, p. 211.

 

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