Martedì, 10 Ottobre 2023 06:18

“LA DIGA PIU’ ALTA DEL MONDO – VAJONT 1963” In evidenza

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Un libro per non dimenticare

Di Tamara Viotto Belluno, 9 ottobre 2023 - 9 ottobre 1963, 22:39, il monte Toc si stacca, non ce la fa più a resistere alla pressione, raggiunge una velocità impensabile, è l’inizio della catastrofe.

9 ottobre 1963, 22:39, Longarone, persone che dormono, amici al bar, bambini, donne, uomini, giovani, anziani, mamme, papà, nonni, fratelli,…ognuno nello stesso momento ha incontrato il loro tragico destino.

Per non dimenticare, l’autrice bellunese Paola Zambelli ha scritto “La diga più alta del mondo – Vajont 1963” (Michael Edizioni, 2023) ed ha voluto dare una luce diversa al ricordo della tragedia del Vajont. Con la scrittura di chi si è lasciata emozionare dai racconti dei testimoni diretti, accompagna il lettore in un racconto che porterà il lettore a vivere quel 9 ottobre 1963.

La lettura è semplice, un libro pensato per tutti, come sostiene l’autrice “una lettura 9-99”, ma al tempo stesso è un racconto che fa riflettere su ciò che è accaduto e sul nostro presente.

“Mi siedo accanto a te e inizio a raccontarti qualcosa prima che le tue curiosità mi sommergano come una frana!”. Sono queste le parole con cui nonna Mary inizia a svelare alla nipotina, una sensibile e bizzarra bambina dei nostri giorni, il racconto della tragedia del Vajont che lei stessa ha vissuto e dalla quale è fortuitamente scampata.

In un ambiente che si muove tra il verosimile e il vero, la narrazione segue diversi filoni intessendo un ricamo che sarà a tutti visibile solo alla fine del libro. Frasi accorte, termini scelti con accuratezza, nulla nel racconto è lasciato al caso.

Con un salto nel tempo nonna Mary diventa bambina e nel leggere si ha la sensazione di essere proprio con lei nella sua “piccola Milano” come era definita Longarone prima della sua distruzione. Poi l’incontro con Tina Merlin, donna fuori dagli schemi per quel tempo, dispensatrice di saggezza, esempio di determinazione sarà d’aiuto alla piccola Mary: “quel che conta è il contributo che puoi dare per migliorare il mondo” le dice rivelandole il suo modo di vivere la vita. Tina che è giornalista usa le parole per mestiere e sa che “le parole hanno un grande peso”, Mary imparerà a stare con lei “ad ascoltare le persone in maniera differente e a guardarsi intorno con occhio critico”. Fra la donna e la bambina si instaura un rapporto particolare, di rispetto e di amicizia anche grazie a un gatto che Tina regala a Mary e che, nei suoi antenati, vive ancora nel tempo presente. Il gatto diventa un filo conduttore che unisce il passato al presente.

Nella storia spesso si dà voce a chi poco o nulla è stato ascoltato, la stessa giornalista Tina, le persone anziane, perfino gli animali e lo stesso Monte Toc che, personificato, si mostra “risentito”, si fa sentire quasi a voler avvisare, a voler evitare l’ormai inevitabile.

I tempi del libro sono gli stessi di quelli dell’alluvione: i primi capitoli scorrono con calma e occupano la maggior parte del racconto, verso la fine invece, in poco tempo accade il peggio finché giunge “un buio impenetrabile” che “avvolgeva tutto”. La montagna cede, “l’onda crudele” scavalca la diga e in pochi minuti la piccola Milano diventa un deserto di fango, detriti e cadaveri. Poi il buio. Il nulla si impossessa di tutto, il silenzio da assoluto viene squarciato da grida disperate. Nulla è com’era prima: la cittadina, le case, la valle, le strade, ma anche le persone che o sono fango o sono “sospese nel nulla” incredule e incapaci anche di guardarsi negli occhi.

Il ritorno al racconto nel tempo presente lascia spazio ai soccorsi e ai sopravvissuti, al loro “male”: essere scampati alla morte li ha resi per sempre fragili, li ha comunque uccisi e fatti rinascere persone diverse da prima. Saranno gli occhi e la mente di una bambina a dare un messaggio di speranza e di resilienza.

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