Mercoledì, 14 Giugno 2023 06:15

Dalle Termopili a Kiev, il trauma di Agamennone si ripete nella Storia In evidenza

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Di Giulia Bertotto Roma, 13 giugno 2023 (Quotidianoweb.it) -

Claudio K. Gallone, è Analista Filosofo di SABOF, la Società di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico. E’ anche autore del romanzo di guerra, scritto sulla base delle sue esperienze autobiografiche dal titolo “Dove Canta il Leopardo delle Nevi - Reportage sui sentieri dell’anima dagli abissi dell’Afghanistan alle vertigini del Tibet” (Giunti Editore).

Gli abbiamo rivolto la stessa domanda che Einstein rivolse a Freud negli anni più sciagurati del Novecento: perché la guerra?

Quel carteggio tra i due è un confronto tra due menti geniali: una capace di indagare le profondità cosmiche e le leggi dell’universo, l’altra abituata a scandagliare i fondali oscuri della psiche umana. Entrambi sono ebrei, entrambi assistono ai rivolgimenti politici e al tragico affermarsi delle dittature fasciste e naziste. La prima lettera venne ricevuta da Freud risale all’agosto del ’32.

Secondo Gallone sventolare bandiere della pace non servirà a molto finché non saremo in grado di comprendere che la guerra e la pulsione all’affermazione violenta del proprio Sé sono una conseguenza e non una causa. Le origini di ogni conflitto, individuale o collettivo, sono molto più profonde rispetto alle credenze più socialmente diffuse. Forse è giunto il momento di arrendersi all’orrore della guerra, ma comprenderne le sue origini e divenirne consapevoli.

Oggi la guerra è nel cuore dell’Europa, anche se ci sono molti altri conflitti di cui le televisioni non parlano perché poco interessanti dal punto di vista ideologico o da quello economico per il nostro paese. Da diversi anni la guerra infuoca le zone dell’est ucraino ma gran parte dell’opinione pubblica non ne era a conoscenza. Che cosa hanno mosso nel nostro profondo quelle immagini di morte e distruzione?

Per meglio comprendere potremmo immaginare che l’ombra della morte che si estendeva sulla guerra nell’Est d’Europa abbia risvegliato antichi demoni da tempo sopiti in noi. Forse sono gli stessi i demoni descritti dal mito della battaglia delle Termopili che giacciono quiescenti nella nostra Ombra, dove crepita la Paura e divampa la rabbia, l’ansia, l’angoscia, l’insicurezza, la mancanza di futuro, il desiderio di fuga. Forse…mi piace pensarlo. Forse è la stessa paura provata da Leonida e dai suoi Trecento spartani che, nel 480 a.C., si sono immolati per salvare l’occidente e fermare l’avanzata dei 300 mila Persiani dell’esercito di Serse. Può sembrare il vezzo filosofico di chi se ne sta al sicuro nella propria casa mentre la gente muore, ma credo ci sia molto di più.

Secondo lei il mito delle Termopili avrebbe molto da insegnarci per interpretare il conflitto oggi.

Sì. Quello stretto passaggio doveva essere difeso a tutti i costi. Proprio come spesso accade quando ci dobbiamo difendere in molti momenti della nostra vita. Da un lato c’è la ripida parete della montagna. Dall’altro si apre l’abisso del precipizio. Di fronte il nemico. La fuga non è contemplabile.

Quante volte nella nostra esistenza ci siamo trovati in queste condizioni? E non abbiamo trovato alcuna via di scampo? Forse siamo stati anche feriti? O siamo caduti sommersi dai corpi dei nostri compagni? Forse solo allora abbiano trovato la la forza di farci strada tra gli scudi, il sangue e i morti, per risorgere a una nuova vita. E iniziare un percorso verso un’esistenza rinnovata. Solo con molto coraggio ci si può salvare.

 

Quindi le ragioni che spingono alla guerra non sono quelle dichiarate e collettive, bensì quelle più intime, che risalgono alla nostra infanzia?

 

I demoni della guerra covano nel profondo dell’essere umano da molto tempo. Forse da sempre. Si sono nutriti delle battaglie che abbiamo dovuto combattere in tutta la nostra esistenza. Le tensioni in famiglia. Le lotte esistenziali per essere riconosciuti, accolti, amati. Le rivoluzioni ideologiche e politiche tese ad affermare il nostro Sé. Le sfide per affermarci. Le guerre sul lavoro o nella società che ci ospita per sopravvivere. E le trincee aperte sul fronte della salute che ci costringe all’esperienza del lutto.

Questa è una domanda che dovremmo porre alla politica e a coloro cui abbiamo affidato il governo dei nostri destini, ma che, forse non hanno mai avuto il coraggio di affrontare un percorso analitico ed entrare nei miasmi della loro ombra e individuare il valore del proprio Sé. Tuttavia questa è una domanda che rimarrà sempre senza risposta.

Lei è stato anche giornalista e inviato di guerra. Dove ha lavorato?

Avevo quarantacinque anni e facevo l’editore di filosofia con autori come Emanuele Severino, la sua scuola di Ca’ Foscari ed Elémire Zolla. Ma un evento traumatico mi ha messo di fronte a un enigma esistenziale. Che cosa accade nella realtà fuori dal mio mondo protetto e agiato che mi garantisce sicurezza?

E allora ho fatto la scelta dell’autenticità e sono andato a vedere che cosa accade coi miei occhi e farne direttamente l’esperienza. Così sono partito per teatri di guerra e grandi crisi umanitarie: Afghanistan, Mozambico, Sierra Leone, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen e Golfo di Aden. E poi terremoti, tsunami, cataclisimi, luoghi dove uno sguardo d’amore supera qualunque la parola.

Lei utilizza il mito come strumento secondo il metodo di analisi filosfica della sua scuola, cui fanno parte Psicoanalisti e psicoterapeuti ma anche psichiatrie analisti filosofi. L’utilizzo del mito è così importante nella sua professione?

 

Sono convinto che non ci possa essere psicoanalisi senza l’apertura al mito. «I miti non sono piovuti dal cielo ma sono stati proiettati verso il cielo dopo essere stati creati dagli uomini» spiegava Freud. Carl Gustav Jung forgiò un cardine del suo pensiero analitico sull’Immaginazione mitopoietica. E Wilfred Ruprech Bion, artefice di interessanti elaborazioni nella teoria psicodinamica della personalità, affermò il “dominio del mito nello sviluppo psichico dell’essere umano.

 

Ma prima di tutti, è stata la mente greca che ha inventato il mito per dare una regola pratica a quanto appare irragionevole. Ma anche per comprendere le dinamiche dell’Essere, del sesso, delle passioni, dell’amore, dell’arte, delle religioni, dei riti iniziatici, della terra natia, della violenza e della guerra. James Hillman suggerisce che per comprendere la guerra occorre attivare l’immaginazione, proprio come fanno i miti o le tragedie che danno forma alla narrazione dei miti. Ma ammonisce: «La psicologia è incapace di spiegare la guerra…La guerra non può essere spiegata. La guerra può essere solo compresa».

 

Lei crede che l’essere umano abbia bisogno della Guerra? Come mai?

Anche qui penso che il Mito di Agamennone possa aiutarci a comprendere. La figura di Agamennone ci pone alcuni interrogativi quanto mai attuali in tempi di conflittualità tra popoli e Paesi. È un essere umano e come tale viene abitato dagli Dei. Artemide, ma soprattutto Ares, le divinità della guerra, si impadroniscono di luiSu queste tesi fondative del pensiero psicoanalitico, analizzando la figura di Agamennone possiamo riconoscere un antico leader che ha fortificato la sua maschera attraverso i traumi subiti. Una dimensione nella quale si potrebbero oggi riconoscere molti leader contemporanei, dalla politica al lavoro.

Anche Benjamin Abelow, autore di “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina” ha affermato idee affini in un’intervista che gli abbiamo rivolto di recente.

Quella di Agamennone è stata una vita pervasa dal trauma.Fin dalla sua giovane età quando la vita viene affrontata e conosciuta attraverso l’esperienza. Ma il trauma è una frattura, una lacerazione del tessuto dell’esperienza. Il Trauma è una balbuzie dell’anima. Da qui la sua indicibilità arcaica che può essere compresa solo nella rappresentazione del mito. Non si parla quasi mai di questa radice del trauma. Rappresenta l’implicito collegamento del Trauma con la Tragedia, come ambiente della simbolizzazione della lacerazione dell’esperienza umana la cui parola viene dal greco “Tragodia”: ciò che ti trapassa da parte a parte. E da “Tragos” capro e “Aido”, il canto. La tragedia quindi come canto del capro che viene sacrificato sull’altare degli dei.

Nella figura di Agamennone si perde il libero arbitrio. Non sceglie ma aderisce alle necessità indicate dagli Dei.

Agamennone fu vittima di orribili eventi della sua famiglia basati su tradimenti, stupri, omicidi e incesti. La sua vita da bambino era priva di amore. Suo padre Atreio mandò in esilio l’odiato fratello gemello Tieste, dopo averne scoperto il tradimento con sua moglie Aerope. Poi, fingendo di perdonarlo lo invitò un banchetto in suo onore e gli servì le carni dei suoi due figli. Ma Atreo non era a conoscenza di Egisto, un terzo figlio di Tieste, frutto dall’incesto con la figlia maggiore: Pelopia. Una volta divenuto uomo, Egisto ucciderà lo zio Atreo, esiliando da Micene Agamennone e l’altro zio Menelao, i quali, anni dopo riconquisteranno a loro volta il trono, sempre in un lago di sangue.

Questo però non deve deresponsabilizzarci. Non possiamo pagare per gli irrisolti infantili di Putin o Zelensky o Stoltenberg...

 

Certo che no. Anzi, questa interpretazione profonda deve spingerci a portare la nostra zona d’ombra alla luce della coscienza. “Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore” diceva Carl Gustav Jung. E questa guerra alle porte, che incrina ogni idea di pace e sconvolte ogni relazione geopolitica potrebbe essere l’occasione per recare un raggio di luce nell’Ombra che accompagna ciascuno di noi. E tentare la via per una “discesa ad inferos”, in un viaggio nel nostro profondo, in un percorso analitico sincero e cosciente per incontrare i Demoni delle Termopili che ci abitano e chieder loro: “Chi siete?”, “Da dove venite?”, “Quando siete stati generati?”, “Come siete cresciuti?”, “Come mai vi siete attivati proprio adesso?”.

Anche oggi, molti Capi di Stato, proprio come fece Agamennone, decidono di sacrificare i figli del loro popolo per assecondare quella terribile pulsione che è la guerra.

Agamennone, sul lido di Aulide viene posto dall’indovino Calcante di fronte a un’orribile sentenza di morte. Può scegliere. Tradire l’alleanza degli Achei, non partire per la guerra, perdere il comando della flotta e del suo grande esercito oppure tradire, con l’inganno sua figlia, per poi sgozzarla sull’altare. E farne di lei un capro espiatorio. La domanda che ci potremmo porre è: “Come mai Agamennone si è messo in discussione sul futuro che avrebbe potuto avere un suo rifiuto, solo per poco?” In realtà quel futuro predetto dall’indovino non esiste. Agamennone lo potrebbe conoscere solo dopo che fosse realmente accaduto, perché ll futuro deve seguire il suo corso naturale. L’oracolo di Artemide, riportato da Calcante di per sé non obbliga Agamennone con un imperativo categorico. Ma semplicemente gli offre un’indicazione del prezzo da pagare per avere venti favorevoli. E poi Agamennone dimentica quello che i filosofi greci insegnavano: le parole di un Dio sono sempre doppie. Includono un duplice significato… Contengono sempre l’ipotesi di un inganno, soprattutto se non le si sa sentire o non le si vuole ascoltare per poterne vedere il significato profondo, senza giudicarlo.

Parole doppie, come la scelta di Agamennone?

Agamennone avrebbe potuto scegliere. Ha due opzioni. Osare il sacrificio e il dolore che avrebbe comportato, oppure biasimare l’indovino Calcante e allontanarlo da sé, come ricorda il coro nella tragedia di Eschilo che reca il suo nome. Ma il comandante degli Achei non si limita a essere lo strumento di un piano divino. Lui è in preda alla propria tracotanza, l’Hybris come la identificavano i greci, alla voluttà di provare a superare i propri limiti. E decide di sacrificare Ifigenia, la figlia prediletta, per andare in guerra, conquistare Troia e ricevere gli onori e le ricchezze che ne conseguiranno. La cultura greca era fortemente consapevole del significato della colpa e di quanto l’essere umano possa divenire empio. Occorre sempre una riparazione. E questa avverrà a opera di Dike, dea della Giustizia. Lei è figlia di e di e si contrappone all’hybris. Sarà così che Agamennone, al rientro della guerra ormai vinta, andrà incontro alla fine orribile che Giustizia ha decretato. Verrà assassinato da Clitennestra, sua moglie per vendicare la morte di Ifigenia.

Che cosa è accaduto a un uomo, un padre, per portarlo al gesto estremo del sacrificio della propria figlia pur di andare in battaglia?

 

Lo spiega bene James Hilmann: “La guerra è una pulsione. Una pulsione come l’amore”. E gli Dei che ci abitano sono semplicemente le rappresentazioni mitologiche delle pulsioni, di quei processi dinamici di quelle spinte energetiche che spingono ogni essere umano al raggiungimento di uno scopo.

Agamennone aveva bisogno di affermare la propria Hybris per compensare le umiliazioni subite nella prima infanzia?

In qualche maniera sì. Per Sigmund Freud le esperienze del “corpo fisico” e del “corpo psichico” sono le strutture necessarie all’interazione con il mondo. Si muovono tra Eros e Thanatos, tra la pulsione libidica protesa verso la vita e l’amore, e la pulsione di morte che indica la necessità del ritorno alle origini.

Insomma in quanto pulsione ontologica la guerra sarà inevitabile finché esisterà l’uomo? Scusi se la metto alle strette, ma è il mio compito.

 

Il mio compito invece non è dare risposte o peggio ancora ammannire consigli. Il mio compito consiste nel saper porre le domande nutrienti, capaci di sollecitare le risposte che sono già presenti nel nostro profondo. Forse potremmo ascoltarci ponendoci alcune domande: quanti capri espiatori dovranno essere sacrificati prima che di imparare a riconoscere i demoni delle Termopili che emergono dalla nostra Ombra? Quanti figli consegneremo alla guerra prima di essere in grado di ascoltare e comprendere le parole degli Dei che ci abitano e quindi i traumi che ci chiamano alla loro elaborazione?

maschera_di_Agamennone.jpeg

(Maschera di Agamennone)

 

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