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Diritto alle cure: il coraggio di un disabile In evidenza

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Di Andrea Caldart Cagliari, 30 dicembre 2023 (Quotidianoweb.it) - Continua ad accadere che il personale medico negli ospedali chieda per accedere alle cure mediche, di indossare dispositivi di protezione secondo indicazioni della nota ordinanza del Ministero della Salute del 28 aprile di quest'anno, da ultimo prorogata al 30 giugno 2024 con apposita ordinanza pubblicata il 29 dicembre, a ridosso della naturale scadenza di quella precedente, prevista per il 31 Dicembre.

Purtroppo, si deve registrare che l'esortazione - auspicio fatta da questo quotidiano esattamente il giorno 28 dicembre, sia stata disattesa totalmente esattamente il giorno seguente, attraverso una proroga i cui fondamenti sia sul piano giuridico che scientifico, sono a dir poco da contestarsi. Al riguardo si rimanda alla lettura dei contenuti di questa testata pubblicati il 28 dicembre, onde non annoiare il lettore con inutili ripetizioni.

Ironia della sorte, comunque, ci tocca oggi, a distanza di solo un giorno da essa, dover raccontate un'altra brutta storia che riguarda il diritto alle cure, e ciò purtroppo stimola a riflettere che a quanto pare, questi tipi di racconti stiano inesorabilmente e distopicamente iniziando a far parte del quotidiano; in sfregio a qualunque diritto alla dignità umana ed alla salute individuale.

A mo' di presagio per quanto potrebbe accadere in questi ulteriori sei mesi di proroga della predetta ordinanza, allora, accade che all’ospedale Brotzu di Cagliari il 28 dicembre, ad un paziente, che chiameremo sig. E. per comodità di esposizione, che doveva accedere a prestazioni sanitarie per valutare un eventuale intervento chirurgico oncologico, sia stato impedito l'accesso al relativo reparto, in quanto sprovvisto di mascherina.

Il paziente in questione era peraltro un disabile in sedia a rotelle, che tuttavia non ha esitato un attimo a rifiutare di indossare a forza la mascherina per accedere alla struttura.

La conseguenza è stato il secco rifiuto del sanitario all'ingresso, di far accedere il paziente, lasciandolo da parte come se niente fosse sulla sua sedia a rotelle.

Ad accompagnare il paziente c’erano anche i rappresentanti di un’Associazione locale molto nota: “Is pipius no si tocant”, che si batte, tra l'altro, per il ritorno alla normalità pre Covid, nelle strutture sanitarie, e per la cessazione dei  purtroppo tanti soprusi che sono nati in questi ultimi tre anni di aberrazione  pandemica.

In particolare, i membri di tale associazione hanno cercato di convincere la sanitaria a far accedere alla struttura ed alle relative prestazioni sanitarie il sig. E. nonostante il suo rifiuto di indossare la mascherina, ma senza esito.

Le scene sono state filmate e la notizia di quest’ultima vicenda sarda, avente come protagonista un soggetto costretto, tra l'altro, alla sedia a rotelle, e l'atteggiamento a dir poco indifferente rispetto a tale condizione del  sanitario di turno, pur di seguire le rigide regole burocratiche impartite dalla direzione sanitaria, si è  diffusa molto rapidamente, e dai social è passata anche  sulla stampa locale online, peraltro con versioni e punti di vista a volte diametralmente opposti.

Come spesso avviene nelle narrazioni delle cronache giornalistiche è difficile accertare tutti i fatti realmente accaduti, ma in situazioni di questo tipo, le parole e le definizioni, vanno chiamate con il loro nome, utilizzando quella libertà di pensiero critico, che forse potrebbe non essere così libero per tutti.

L’atteggiamento irremovibile tenuto del personale sanitario, è stato quello di recepire le indicazioni della predetta ordinanza del 28 aprile scorso e delle circolari di attuazione, nonché in ultimo, le direttive del Direttore Sanitario, ma non è dato sapere se i medesimi operatori abbiamo mai avuto anche solo il minimo dubbio che tali disposizioni fossero legittime.

Al riguardo purtroppo non si può che richiamare e sposare i contenuti dell'ampio approfondimento giuridico svolto su questa testata anche solo il giorno 28 scorso, che in maniera quanto mai dettagliata, pone in rilievo le criticità anche scientifiche e, soprattutto, le illegittimità rilevate da tanti giuristi sul piano giuridico, che caratterizzano le norme che disciplinano l'utilizzo di questo angusto dispositivo, che obbliga ad una respirazione non naturale e certamente non sano, del residuo della propria espirazione.

Non si può che ammirare il coraggio avuto da chi abbia deciso fermamente,  nonostante la sua condizione di debolezza dovuto alla malattia, di non soggiacere al ricatto della salute, non subendo di sottoporsi, pur di poter accedere a quello che sarebbe dovuto essere un suo sacrosanto diritto, a tale imposizione, implicante una copertura del volto umiliante e disagevole, e peraltro di dubbissima efficacia, accettando di aggiungere ulteriore peso psicofisico ad una condizione esistenziale già complicata da portare avanti.

Ora tuttavia vi è da porsi una domanda: come farà il sig. E. ad accedere alle cure se persisterà a non piegarsi?

Questo Stato accetterebbe anche l'estremo sacrificio di un essere umano per affermare la sua supremazia sull'individuo per il perseguimento del bene collettivo da esso solo individuabile attraverso i suoi salvifici burocrati?