Domenica, 03 Marzo 2024 09:14

Il giudice fa giustizia? In evidenza

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Di Daniele Trabucco Belluno, 3 marzo 2024 - Ogni processo conduce alla verità, ma questa resta sempre una verità di tipo processuale.

Questo significa che la verità che il processo manifesta è semplicemente il risultato della dialettica delle posizioni che si sono fronteggiate e scontrate. Pertanto, la sentenza, che di norma chiude un giudizio, risolve il caso unicamente sulla base di enunciati che possono e debbono essere riconosciuti validi da tutte le parti interessate. Il contenuto di una pronuncia, allora, non valido perché fondato su elementi in sé giusti, bensì per il suo riconoscimento ad opera delle parti.

La loro condivisione è condizione sufficiente per giustificarli, ma in questo modo rimane impregiudicata la questione, non secondaria, dei criteri su cui si fonda il loro riconoscimento (cosí Castellano). Non è, allora, il diritto in funzione del processo, semmai è quest'ultimo in funzione del diritto. Tutto questo, in assenza di una base filosofica in merito alla condizione stessa della giuridicità, comporta un approccio nichilistico al diritto, dal momento che esso può ammettere soltanto la verità (relativa) del sistema/ordinamento che rivendica la sua autoreferenzialità. Ora, il diritto (lo ius) non può basarsi su scelte condivise a maggioranza, poiché, in questo caso (e avrebbe ragione Natalino Irti), esso verrebbe ad identificarsi (come fa la modernità) con la contingenza del volere umano e con la mera razionalità operativa della legge in senso hobbesiano.

Viceversa, secondo la lezione degli antichi, è diritto solo ciò che è comandato in quanto giusto. Come afferma il giurista romano Paolo (II–III secolo d.C.) "non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat" (Cfr. D. 50. 17. 1.). Diversamente, dunque, dal pensiero moderno giusto e legale non coincidono: è la ius–titia la condizione della giuridicità, o meglio il rispetto dell'essere e dell'ordo rerum in esso inscritto che rendono la legge tale. Scrive san Tommaso d'Aquino (1225–1274): "non videtur esse lex quae iusta non fuerit" (Cfr. S. Th., I–II, q. 95, a. 2).

 

(*) Autore - prof. Daniele Trabucco.

Associato di Diritto Costituzionale italiano e comparato presso la Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera)/UNIB – Centro Studi Superiore INDEF (Istituto di Neuroscienze Dinamiche «Erich Fromm»). Professore universitario a contratto in Diritto Internazionale e Diritto Pubblico Comparato e Diritti Umani presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento Universitario «Prospero Moisè Loria» di Milano. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare di Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria. Già docente nel Master Executive di II livello in «Diritto, Deontologia e Politiche sanitarie» organizzato dal Dipartimento di Economia e Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Socio ordinario ARDEF (Associazione per la ricerca e lo sviluppo dei diritti fondamentali nazionali ed europei) e socio SISI (Società italiana di Storia Internazionale). Vice-Referente di UNIDOLOMITI (settore Università ed Alta Formazione) del Centro Consorzi di Belluno.

Sito web personale www.danieletrabucco.it