Il caso Serravalle e Bellavite nel NITAG sta facendo emergere quello scontro culturale-scientifico che l’epoca della pandemzenza aveva prepotentemente imposto. Tra accuse di “No-Vax”, che ormai alla luce di quanto è emerso semmai andrebbero chiamati, “No-sperimentazione”, colleghi indignati a gettone e un Paese che ha smarrito la capacità di dubitare, rivela solo la deriva della scienza italiana verso lo scientismo e il conformismo mediatico.
C’è un’Italia che applaude in prima serata, davanti a volti rassicuranti, microfoni patinati e grafici a effetto, dove la parola “scienza” viene usata come un sigillo di purezza ideologica. Ed esiste, allo stesso tempo, un’Italia invisibile, dove chi osa ragionare fuori dai binari stabiliti viene marchiato, isolato e, se possibile, professionalmente annientato.
È in questo clima che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha nominato due figure di indubbia competenza, il professor Eugenio Serravalle e il professor Paolo Bellavite, all’interno del NITAG, il comitato tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni. Una scelta che, in un Paese sano, avrebbe potuto aprire il dibattito, allargare il ventaglio di prospettive, rafforzare il metodo scientifico fondato su confronto e critica.
Invece, la reazione è stata un fuoco di sbarramento. Gli epiteti si sono sprecati: nei giorni successivi, quotidiani e talk show hanno amplificato un coro di indignazione con delle etichette che sono arrivate rapide e senza appello: “No-Vax”, “pericolosi”, “negazionisti” “antiscientifici”. E non da parte di opinionisti improvvisati, ma proprio dai loro stessi colleghi, alcuni dei quali divenuti vere e proprie star televisive, con contratti di consulenza e partnership non troppo segrete, con le stesse Big Pharma che dominano il mercato globale. È il trionfo dello scientismo, cioè della fede cieca nella parola dell’esperto certificato dal sistema, contro la scienza vera, quella che vive del dubbio e si misura sul terreno della verifica sperimentale.
Gli ordini dei medici, un tempo presidio di deontologia, oggi si muovono come bracci operativi della politica sanitaria. Le sanzioni non colpiscono chi sbaglia cure, ma chi osa deviare dal copione.
Soprattutto negli ultimi 5 anni, decine e decine di medici sono stati, richiamati, sospesi o radiati per aver espresso opinioni divergenti su vaccini, gestione della pandemia, terapie alternative. Non importa che fossero tesi supportate da dati: ciò che conta è la “compatibilità narrativa” con la linea ufficiale. Il cittadino come prodotto finito.
E nel mezzo, schiacciati tra i colpi di questa guerra per il controllo del sapere, ci sono i cittadini. Oggi essere “un buon cittadino obbediente” è diventato una certificazione di purezza, una condizione psicoestetica. È il marchio di appartenenza a una civiltà che ha sostituito l’autenticità con la performance. Conversazioni scomode? Bandite. Il dubbio? Interpretato come una malattia dell’intelletto. La lingua è preconfezionata, gli errori vengono corretti prima ancora di accadere da un sistema di “notifiche predittive” che rimuove ogni imprevisto. Si vive nella convinzione di non essere cavie, mentre si è parte integrante di un esperimento sociale di conformismo perfetto.
Da un lato ci sono gli scienziati “liberi”, come Bellavite e Serravalle, che, pur in netta minoranza, portano nel NITAG la sostanza di un pensiero critico, reale, non addomesticato. Dall’altro lato, i colleghi asserviti alle case farmaceutiche, abituati a parlare con il timbro e il ritmo del mainstream, impegnati a recitare il copione che li mantiene nella zona sicura dei finanziamenti e della visibilità.
Il risultato è un paradosso: i pochi che incarnano il metodo scientifico vengono etichettati come eretici, mentre i sacerdoti dello scientismo, inamovibili e mediaticamente blindati, vengono celebrati come garanzia di sicurezza.
Il linciaggio mediatico di questi giorni non riguarda solo due nomi, ma il modo in cui un Paese decide chi può parlare di scienza e chi no. La scienza muore quando diventa catechismo.
E un cittadino che non coltiva dubbi non è un cittadino libero: è un algoritmo sociale, tarato per non sbagliare e soprattutto per non pensare troppo.

