Domenica, 20 Aprile 2025 06:51

Lavoro migrante: Lotfi Ftaiti detto Samir In evidenza

Scritto da Francesca Dallatana

Futuro tradito. Promise betrayed.

Francesca Dallatana Parma, 20 aprile 2025 -

Un giornalista è come un filosofo. Deve cercare di raccontare un fenomeno nella sua complessità.” Comincia così l’intervista a Lotfi Ftaiti, conosciuto come Samir, tunisino d’origine e italiano d’adozione. Gli occhi di colore triste; indossa una giacca invernale leggera, adatta a chi deve coprirsi per lavorare ma deve avere i movimenti liberi; al collo ha una kefiah profilata con i colori della bandiera palestinese.

Gli immigrati non sono solo il loro lavoro.”, sottolinea. Sono anche altro, molto di più. Qualche volta gli immigrati sono anche la loro delusione per come sono andate le cose della vita. E per come e quanto diversa avrebbero voluto fosse. La vita del futuro. Quella del sogno profondo di ciascuno. Immigrato o emigrato che sia; nomade oppure stanziale.

Il fenomeno immigrazione scivola via dai confini della definizione generale e della percezione attuale e si stempera in un più ampio tema esistenziale.

Un immigrato è un cacciatore di futuro. Se i proventi sono altro rispetto all’investimento emotivo e alle aspettative la delusione si trasforma in tristezza esistenziale. Si cessa di essere arrabbiati per motivi personali quando l’inquinamento sociale è più forte delle sconfitte individuali.

Un intellettuale altro non può essere che triste. Lotfi Ftaiti è un intellettuale prestato all’aristocrazia della produzione, la metalmeccanica. Dei metalmeccanici ha il metodo e la precisione, anche nella narrazione di se stesso. Degli intellettuali non ha perduto il continuo palleggio con i massimi sistemi. E’ così che Lotfi Ftaiti detto Samir comincia a depistare la scaletta dell’intervista, nella redazione della Gazzetta dell’Emilia.

Samir è in Italia dal 1989. “Non sono arrivato per stare in Italia. Invece sono rimasto” Non è fuggito qui con le barche della disperazione. “Studiavo in Siria. Dalla Tunisia ero andato a Damasco a studiare diritto internazionale. Mancava un anno di studi alla laurea.” Invece, l’Italia. Per lavorare come operaio stagionale.

Parma in movimento.

La città di allora è una Parma in fermento.

Il fermento sociale del periodo, la solidarietà e l’impegno tramesso a cerchi concentrici nel mare sociale dalle associazioni. “Sono stato un artefice dell’Asi, l’associazione studenti immigrati. La maggioranza degli studenti arrivava da Paesi africani ed erano iscritti soprattutto alle facoltà di medicina e di ingegneria. L’associazione aveva l’obiettivo di sostenere gli studenti, soprattutto nella ricerca di un alloggio ma non solo. Chi non aveva borsa di studio aveva bisogno di aiuto, di una rete solidale di supporto. Abbiamo cominciato una profonda discussione sull’immigrazione.” Intanto il Novecento volge alle battute finali.

Nel 1994 una nuova associazione prende le mosse dalla riflessione in corso sull’immigrazione. E’ l’Aipp, associazione immigrati di Parma e provincia (dal 1994 al 1995 l’intervistato è stato il Presidente di Aipp, Ndr). Dell’associazione fanno parte studenti e lavoratori. Assume un ruolo di avanguardia, valorizza le persone che arrivano da altri Paesi, contribuisce al dibattito in corso. Avvia  iniziative socio-culturali sul territorio, come la Festa Multiculturale, prima a Vigheffio poi a Collecchio. Intreccia il dibattito interno alla forza culturale espressa dai circoli intellettuali e di ricerca della città. Voglio ricordare l’impegno di Alessandro Bosi, docente di sociologia, un punto di riferimento per tutti noi. In quegli anni ha preso il via il Centro interculturale. Il Ciac, il Centro Immigrazione per l’asilo e la cooperazione internazionale di Parma e provincia, muove i primi passi: la prima riunione è stata organizzata al circolo Argonne.”

Date periodizzanti e leggi di riferimento. Lotfi Ftaiti riporta il senso dei passaggi legislativi in materia di immigrazione e ricorda la prima debolezza strutturale, collegata ad una osservazione: “L’immigrazione non è una questione sociale, non è solo questo. L’immigrazione è una ricchezza. I grandi Paesi europei che hanno considerato l’immigrazione una ricchezza hanno permesso ai talenti di sbocciare. Molte persone della classe dirigente francese e inglese hanno origini straniere. Per classe dirigente non si intende solo la politica, il gruppo al potere e di potere. Si intende la possibilità di diffusione dei talenti nella società civile e nella rete professionale.” L’ascensore sociale e le possibilità di rompere pregiudizi e tetti di cristallo è bloccato per molti, in Italia. Per gli immigrati, il blocco dipende anche dai contenuti delle leggi. Samir è puntuale nell’osservazione: “Il punto di partenza è la legge Martelli, la legge 39/1990. La politica è visione. E il legislatore non è stato visionario. Non ha tratteggiato un progetto che permettesse l’espressione equilibrata e dialogante delle potenzialità dei migranti. Stessa cosa per le leggi successive che sono andate verso una codifica del fenomeno della migrazione incasellando e definendo procedure a volte restrittive e non sufficienti ad una visione di futuro ampia e culturalmente ricca. Dopo la legge Martelli, cito la legge Turco-Napolitano, poi la legge Bossi Fini. Nessuno di questi interventi legislativi ha speso una parola per il riconoscimento dei titoli di studio, ad un progetto culturale di lunga gittata. Fino all’irrigidimento dettato dal Decreto Sicurezza del 2025.”

Pensiero critico contro il pregiudizio.

Dalla dinamicità degli ultimi decenni del Novecento fino all’irrigidimento dei primi anni Venti del terzo Millennio. E, ancora, Samir devia la palla ancora dal campo dell’intervista: “Martellare tutti i giorni sulla stampa e attraverso gli organi di informazione sul collegamento immigrazione e sicurezza non è corretto. Un esempio, fra tutti: le baby gang. Sono davvero tutti immigrati i così detti maranza? Attenzione! Perché se alcuni dei ragazzini delle baby gang sono figli di immigrati, ora sono italiani a tutti gli effetti. Perché nonostante le lungaggini anche gli immigrati diventano cittadini italiani. E, comunque, i gruppi di adolescenti delle così dette baby gang hanno una composizione eterogenea: italiani, non italiani, italiani adottivi. Il disagio che esprimono lo abbiamo coltivato tutti noi, in questo Paese.”

Il pregiudizio è una ragnatela viscida: difficile levarsela di dosso. “Credo che per farlo – osserva Samir – gli immigrati dovrebbero superare una barriera emotiva. Dovrebbero dirsi: non ci vogliono, ci guardano con sospetto. E dovrebbero domandarsi: perché non ci vogliono? E ancora: noi siamo venuti a casa loro. Le regole sono le loro. E allora dobbiamo andare verso di loro, farci conoscere, raccontare loro chi siamo, dire che siamo qui per vivere e per continuare a vivere in un Paese nuovo. Ma deve essere spontaneo. Non deve essere un’imposizione condotta in un recinto culturale, in un ghetto oppure una zona ideale di conforto. Stare dentro il ghetto delle reti di protezione è distruttivo. Non è produttivo.”

Il primo passo per abbattere le barriere.

Samir misura le parole, le sceglie una a una. Quello che dice lo ha messo sul bilancino della ragione prima di esprimerlo a voce alta. E affonda la riflessione anche sul fenomeno: “Gli immigrati non vengono dal cielo. Lo spostamento delle persone è una conseguenza dei fatti della Storia. Tutto ciò che la politica estera ha deciso di fare porta conseguenze immediate e indirette. Induce traumi. Il trauma che non permette di alzarsi, di alzare la testa e di mettere in atto azioni di tutela: dal lavoro sfruttato, dal lavoro nero, dal lavoro sottopagato. E’ difficile rompere le catene dello sfruttamento lavorativo, perché si inscrive in una cornice respingente che si barrica dietro la paura del diverso.”

E il migrante non viene solo dal mare. Ancora Samir, a contraltare: “L’Italia da Paese di emigrazione si è trasformata in Paese di immigrazione. Anzi, emigrazione e immigrazione coesistono. Molte delle persone che arrivano dagli altri Paesi non vogliono fermarsi qui. Questo è un punto di transito. I migranti emigrano. I migranti sono cervelli che emigrano come i ricercatori che vanno alla ricerca di una possibilità di espressione della loro competenza e del loro talento. Per gli immigrati, trovare un posto dove stare, cioè una casa, è un ostacolo difficile da superare.

E ritorna a parlare della città in fermento culturale. “Voglio ricordare la Cooperativa Gamma che offriva alloggio gratuito agli immigrati di passaggio. Sessanta posti nel periodo di attività dal 1991 al 1997. Un’azione concreta per dare risposta a un bisogno e per tracciare il fenomeno e chiamarlo per nome: la migrazione di passaggio. I migranti erano stranieri e italiani.

Illusione Italia. E il lavoro come risorsa.

Di colore triste, lo sguardo di Samir. Prima, durante e dopo l’intervista. Il depistaggio dalla scaletta non ha innescato la catarsi. E non è detto che la catarsi cancelli la tristezza.

In Italia si arriva con molte aspettative. Poi si scoprono le difficoltà. La realtà dei fatti diventa evidente. Il percorso cronologico che abbiamo ricordato in questa narrazione arriva al traguardo odierno con molte illusioni frantumate sull’asfalto di un Paese che non è stato capace di affidarsi ad una innovativa visione del futuro”, commenta l’intervistato. Sacche di disagio sociale difficilmente codificabili e inscritte d’ufficio nella categoria “dispositivi per la sicurezza” meritano una consapevolezza culturale coltivata e raffinata che permetta alla società di trarsi d’impaccio dalla palude della paura. Dove non sbocciano le piante del talento. Samir non lo dice. E’ il colore incupito di tristezza dietro le lenti a suggerirlo, i gesti misurati di chi è costretto alla resa ma non si arrenderà.

Il terreno possibile per la riscossa di un nuovo inizio?  Trattiene un sorriso e risponde: “Il lavoro non divide. Il lavoro unisce. Possiamo parlare di un’amicizia di lavoro, al lavoro. E’ la solidarietà del fare, del contribuire a raggiungere l’obiettivo, del costruire insieme.” Non cita il nome dell’azienda per la quale lavora da venticinque anni ma non serve, perché si profila con precisione l’appartenenza all’aristocrazia operaia, settore metalmeccanico: pensiero, tenacia, coordinamento, solidarietà fattuale. Operaio specializzato, dopo altri lavori in edilizia e altri ancora: “Ho fatto anche il barista”, dice.

E’ terminata l’azione di depistaggio di Lotfi Ftaiti detto Samir alle interviste della rubrica Lavoro migrante della Gazzetta dell’Emilia. Arrivata al capolinea: lavoro.

Flashback. Going ahead.

Samir ritorna spesso in Tunisia? “Sì, con una certa frequenza. Vado da mia madre. Io vengo da Kairaouan, una città bellissima. Vengo dalle montagne, dietro la città.” Un suggerimento per il lettori della Gazzetta dell’Emilia che vogliano conoscere la Tunisia? “Un viaggio. Prima Cartagine e poi il deserto al tramonto del sole. Vedrai colori che non ritroverai più da nessuna altra parte.” Solo il cielo al tramonto sopra il deserto ha increspato il velo di tristezza dello sguardo.  Un braccio di mare, tra l’Italia e la Tunisia. La Tunisia è vicina.

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(Link rubrica:  La Biblioteca del lavorolavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374 

   https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)

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