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Venerdì, 01 Ottobre 2021 22:44

“L’Agorà del Diritto”: diffamazione a mezzo stato di Whatsapp In evidenza

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Nel 24esimo appuntamento della rubrica l’avvocato Graziuso tratta lo specifico tema della diffamazione a mezzo social e in particolare attraverso lo “stato di wattsapp”.

“L'Agorà del Diritto” è questo il titolo della rubrica che, a partire dallo scorso mese di aprile, accompagna i nostri lettori.

Il titolo non è casuale ma rispecchia gli obiettivi che questo spazio redazionale si prefigge, primo fra tutti quello di informare i cittadini sui i propri diritti.

Le previsioni normative, infatti, da sole, non sono sufficienti, occorre un ulteriore passaggio, vale a dire la conoscenza delle stesse da parte dei destinatari.

Solo in questo modo, si potrà raggiungere l’auspicata evoluzione da “cittadino” a “cittadino informato” e, quindi, a “cittadino consapevole” dei propri diritti.

“L'Agorà del Diritto”, però, non è solo questo.

Di Emilio Graziuso (*) 32 ottobre 2021 - Con la diffusione massiccia di social ed appanche la giurisprudenza ha cominciato, ormai da qualche anno, ad occuparsi dei reati posti in essere attraverso gli stessi.

Più in particolare, la Suprema Corte si è più volte soffermata sul reato di diffamazione attraverso tali canali.

Di recente, ad esempio, è stato sancito un principio fondamentale ed innovativo: “le affermazioni lesive dell’onore e del decoro della persona offesa enunciate sullo status Whatsapp possono integrare il reato di diffamazione qualora i contenuti ivi presenti siano visibili ai contatti presenti in rubrica”.

In passato, la Corte di Cassazione si era già occupata, sebbene sotto diverso profilo, della diffamazione a mezzo Whatsapp, con particolare riferimento al messaggio contenente espressioni lesivi della reputazione e della dignità altrui inviato in un “gruppo” creato, appunto su Whatsapp.

Al riguardo, è stato, inoltre, precisato che si integra il reato di diffamazione (non essendo ravvisabile l’ingiuria) anche qualora del “gruppo” faccia parte la persona offesa.

Oltre ad aver approfondito la diffamazione a mezzo Whatsapp, la Suprema Corte si è anche soffermata sulla diffamazione a mezzo Facebook.

Ricorre, quindi, il reato di diffamazione, qualora sia pubblicato un post lesivo della reputazione, dignità ed immagine di una persona, anche se quest’ultima sia tra i lettori del post (in tale ultima ipotesi, infatti, gli ermellini non hanno ravvisato gli estremi dell’ingiuria bensì del reato di diffamazione. A prevalere è la circostanza che il post è diretto ad una pluralità di soggetti e non in via diretta alla sola persona offesa).

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Autore (*)

"Avv. Emilio Graziuso - Avvocato Cassazionista e Dottore di Ricerca.

Svolge la professione forense dal  2002 occupandosi prevalentemente di diritto civile, bancario – finanziario e diritto dei consumatori.

Docente ai corsi di formazione della prestigiosa Casa Editrice Giuridica Giuffrè Francis Lefebvre ed autore per la stessa di numerose pubblicazioni e monografie.

Relatore a convegni e seminari giuridici e curatore della collana "Il diritto dei consumatori" edita dalla Key Editore.

Responsabile nazionale del Coordinamento  "Dalla Parte del Consumatore"

Per Informazioni e contatti scrivere aQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Rubrica "L'Agorà del Diritto" www.Gazzettadellemilia.it"


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