Venerdì, 15 Gennaio 2021 14:47

Dal modello lineare a quello circolare: le nuove geometrie della sostenibilità In evidenza

Scritto da

L’Obiettivo 12 dell’Agenda 2030 implica il sovvertimento degli schemi di produzione e consumo.

Di Coopservice 13 Gennaio 2021 - Le politiche di Coopservice per la riduzione dell’impronta ambientale.

La chiave della sostenibilità: “Fare di più e meglio con meno”

L’obiettivo numero 12 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ‘Produrre e consumare in modo responsabile’ si pone al cuore della partita della sostenibilità per garantire un futuro all’unico pianeta di cui disponiamo. Produzione e Consumo sono infatti 2 delle componenti del nostro attuale modello di sviluppo cosiddetto ‘lineare’: prendi-produci-consuma-getta. In questa accezione i due termini vanno intesi in senso lato e impattano trasversalmente su tutti gli Obiettivi di sostenibilità (SGDs, Sustainable Development Goals) definiti dall’Agenda. 

Ecco allora che per consumo e produzione sostenibili si fa riferimento non solo alle pratiche di realizzazione ed utilizzo di beni alimentari e materiali ma anche a tutto ciò che le rende praticabili: e dunque alla promozione dell’efficienza delle risorse e dell’energia, alla disponibilità di infrastrutture sostenibili, così come la garanzia dell’accesso ai servizi di base, a lavori dignitosi e rispettosi dell’ambiente. 

Nel contesto di tale esteso significato l’attuazione delle pratiche sostenibili contribuisce pertanto alla riduzione dei costi economici, ambientali e sociali, al miglioramento della competitività economica generale e alla riduzione della povertà. 

In sintesi il consumo e la produzione sostenibili puntano dunque a “fare di più e meglio con meno”, consentendo la realizzazione di piani di sviluppo improntati al rispetto degli equilibri e della disponibilità di risorse del pianeta, per contro abbattendo il degrado e l’inquinamento indotti dall’intero ciclo produttivo. 

L’insostenibilità del modello ‘lineare’ di produzione-consumo vecchio di 260 anni

Lo schema lineare alla base del modello di sviluppo ancora predominante ha assunto una dimensione via via sistemica e planetaria a partire dall’avvento della prima epoca industriale (1760) e ancora di più con la seconda rivoluzione industriale (un secolo dopo) determinata dall’introduzione e dall’uso su vasta scala dell’elettricità, dei prodotti chimici e del petrolio. 

L’insostenibilità del modello è conclamata: secondo lo studio del 2018 denominato “A good life for all within planetary boundaries”  prodotto da ricercatori britannici e pubblicato da Nature, se ci proponessimo di rendere davvero disponibile l’attuale modello di sviluppo per tutti gli 8 miliardi di abitanti della Terra occorrerebbero… 6 pianeti come il nostro. Se poi consideriamo che, secondo le stime delle Nazioni Unite, la popolazione mondiale dagli attuali 8 raggiungerà i 10 miliardi di anime al 2050 per arrivare a 12 nel 2100 possiamo cogliere ancora meglio le dimensioni di un disastro annunciato. 

Questo perché lo schema lineare su cui è fondato ‘brucia’ a senso unico risorse e materie prime, generando un circolo vizioso di crescente impoverimento e degrado destinato inevitabilmente a far implodere il sistema su se stesso.

Un indicatore dell’insostenibilità del modello lineare: il ‘material footprint’

Un dato particolarmente significativo per raffigurare l’assoluta insufficienza di risorse disponibili per proseguire con il modello lineare imperante è il cosiddetto ‘material footprint’ (impronta materiale), definibile come la quantità di materie prime utilizzate per soddisfare la domanda di consumo finale dell’intera umanità, prescindendo dalla capacità della Terra di rigenerarle: un indicatore, dunque, delle pressioni esercitate sull’ambiente per sostenere la crescita economica e soddisfare i bisogni materiali delle persone. 

Nell’arco di circa 30 anni, l’impronta complessiva annuale su scala mondiale è passata da 43 miliardi di tonnellate nel 1990 a 54 miliardi nel 2000 e a 92 miliardi nel 2017. In particolare si è registrato un aumento del 70% dal 2000, anno dal quale il tasso di estrazione e consumo delle risorse naturali è decisamente accelerato. 

E la previsione per i decenni futuri, coerentemente con le aspettative di crescita economica e demografica, è a dir poco allarmante: se non si invertirà la tendenza, il material footprint raggiungerà i 190 miliardi di tonnellate entro il 2060. 

(Tab1)

  COOPSEERVICE-tabella1.png

La crescita della material footprint nel mondo (Fonte: “The Sustainable Development Goals Report 2019” pubblicato sul blog DeA Live Geografia)

Un analisi su scala mondiale della distribuzione geografica dell’impronta materiale fornisce una efficace rappresentazione dell’enorme divario in termini di sviluppo economico e di consumo di risorse naturali tra le diverse aree del pianeta: nei Paesi ad elevato reddito infatti l’incidenza pro capite del material footprint viene stimata in circa 27 tonnellate a persona, una quantificazione superiore del 60% rispetto ai Paesi a reddito medio-alto (17 tonnellate a persona) e che addirittura equivale a 13 volte il livello di consumo dei Paesi a basso reddito (2 tonnellate a persona).

Lo spreco alimentare quale paradigma dell’insostenibilità

La tematica dell’insostenibile consumo di risorse naturali si presenta in realtà con diverse sfaccettature. Oltre che presupposto e inevitabile correlato del modello lineare predominante essa chiama in causa problematiche quali lo spreco, la cattiva organizzazione e l’assenza di cooperazione tra i vari soggetti coinvolti nelle filiere di produzione e consumo. 

Tra gli ambiti frequentemente più citati a titolo esemplificativo figurano il consumo idrico, quello energetico, ma soprattutto lo spreco alimentare.

Ogni anno, circa un terzo del cibo prodotto, corrispondente a 1,3 miliardi di tonnellate, per un valore pari a circa mille miliardi di dollari, finisce nella spazzatura dei consumatori e dei commercianti, oppure va a male a causa di attività agricole o sistemi di trasporto inadeguati. E ciò mentre circa 1 miliardo di persone soffre di denutrizione e un altro miliardo soffre la fame. 

Inoltre pratiche e fenomeni quali l’utilizzo non sostenibile dell’acqua (cosiddetto ‘water stress’),  l’eccessivo sfruttamento della pesca, l’inaridimento dei terreni, le devastazioni dei cambiamenti climatici e il degrado dell’ambiente marino riducono la capacità delle risorse naturali di sostenere la produzione alimentare. 

Alla lotta contro lo spreco alimentare è dedicato uno dei target in cui si articola l’Obiettivo 12, proponendosi di dimezzare, entro il 2030, lo spreco alimentare globale pro-capite e ridurre le perdite di cibo durante le catene di produzione e di fornitura, comprese le perdite del post-raccolto.

La sostenibilità futura sta nel passaggio dalla linearità alla circolarità

Ad oggi le risorse consumate dalla popolazione mondiale sono dunque ben più di quelle che gli ecosistemi sono in grado di fornire. Affinché lo sviluppo sociale ed economico possa rientrare in un quadro di sostenibilità l’umanità è pertanto chiamata a ripensare in modo radicale il proprio modo di produrre e consumare beni. 

È la nuova frontiera dell’economia circolare al centro, con il Circular Economy Action Plan, delle strategie dell’Unione Europea per la crescita sostenibile e la lotta contro il climate change. L’introduzione su larga scala delle pratiche economiche circolari mira a ribaltare la sequenza lineare ‘reperimento-produzione-consumo-rifiuto-smaltimento’, basandosi sul riutilizzo e il riciclo di prodotti, rifiuti e materie prime. Il nefasto approccio consumistico del tipo ‘prendi-produci-usa-getta’ viene in questo modo superato da una serie di pratiche finalizzate a prolungare il tempo di vita dei prodotti e a ridurre drasticamente l’impiego di materie prime e la produzione di rifiuti, dando così corpo ad un ciclo ininterrotto in cui tutto il possibile viene usato e riusato, anche in diverse forme. 

I numeri forniti dalla Commissione Europea danno l’idea dell’impatto che le pratiche circolari potranno avere sulla sostenibilità complessiva del sistema di produzione e consumo: ogni cittadino europeo consuma in media 14 tonnellate di materie prime e produce 5 tonnellate di rifiuti all’anno. Non a caso ben 2 target del Goal 12 sono dedicati alla riduzione della produzione di rifiuti, proponendosi per tale via un significativo abbattimento del loro rilascio in aria, acqua e suolo così da minimizzare progressivamente l’impatto sull’ambiente e la salute pubblica.

L’Italia al secondo posto in Europa nell’economia circolare e nel riciclo dei rifiuti

A livello europeo il valore dell’indice composito relativo al Goal 12 rilevato per il 2018 è superiore al livello del 2010 per tutti i Paesi, con una distanza tra il primo (Olanda) e l’ultimo in graduatoria (Estonia) pari a 40 punti. 

L’Italia per una volta si attesta in una posizione di eccellenza (seconda posizione) registrando nel tempo un costante miglioramento di tutti gli indicatori elementari, ad eccezione di quello relativo alla produzione di rifiuti, che rimane pressoché stabile nell’arco di tutto il periodo considerato. 

(Tab2)

 COOPSEERVICE-tabella_2.png

 

Graduatoria europea aggiornata al 2018 dell’indice composito relativo al Goal 12 (Fonte Asvis.it)

Nello specifico l’indicatore composito elaborato da Asvis (Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile) per misurare l’andamento dell’Italia rispetto al Goal 12 aumenta significativamente tra il 2010 e il 2019 grazie al miglioramento di tutti gli indicatori elementari. 

(Tab3)

COOPSEERVICE-tabella_3.jpeg 

Andamento dell’indicatore composito relativo al Goal 12 per l’Italia  (Fonte: “Rapporto ASviS 2020. L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile” pubblicato su Asvis.it)

In particolar modo si osservano progressi importanti per l’indice di circolarità̀ della materia (ovvero la quota di materie prime recuperate e reimmesse nel sistema economico, 17,7% contro una media UE dell’11%) e la percentuale di riciclo dei rifiuti, che con un valore di 49,8% si avvicina al target europeo per il 2020 (50%). 

Tali progressi autorizzano ad affermare che in Italia si recupera sempre più materia e se ne utilizza meno, così come attestano che nel corso degli ultimi anni è cresciuta nella società e nell’imprenditoria italiana la consapevolezza che solo un’innovazione rivolta alla dimensione tecnologica, all’aumento di produttività e alla riduzione del consumo di risorse naturali è in grado di rimettere in moto uno sviluppo economico duraturo e strutturale.

Le iniziative di Coopservice per le 3R della sostenibilità

La presa di coscienza della necessità di dare corso a modelli di sviluppo sostenibile l’adozione di stili di vita in armonia con la natura rappresentano obiettivi che sempre più chiamano in causa l’azione delle imprese e i comportamenti di ciascun individuo. Se si vuole invertire una rotta che rischia di portarci verso l’autodistruzione si rende necessario il coinvolgimento di ciascuna componente della società, creando le condizioni per una mobilitazione generale orientata alla messa in atto di pratiche quotidiane di riutilizzo, riciclo, consumo responsabile: l’adesione alla sostenibilità deve essere parte integrante del bagaglio culturale di ogni cittadino. 

Coopservice ha da tempo adottato procedure e metodologie per ridurre l’impronta ambientale delle proprie attività ed è costantemente impegnata nella ricerca di soluzioni in linea con le 3 R: ridurre, riutilizzare, riciclare. Non a caso alle politiche aziendali di preservazione del ‘Capitale naturale’ è dedicato un intero capitolo del Report integrato pubblicato annualmente, nella piena consapevolezza che esso rappresenta un fattore di input per la produzione di beni e la fornitura di servizi e che le attività di una organizzazione possono avere un impatto sia positivo che negativo su tale dimensione di capitale. 

Per Coopservice il tema della sostenibilità ambientale rientra infatti nella strategia di creazione del valore ed è parte integrante della mission e della stessa corporate identity: non a caso una componente del nuovo logo aziendale richiama espressamente l’attenzione all’ecologia e all’ambiente. A dimostrazione dell’impegno del Gruppo nelle politiche di sostenibilità, vengono effettuati annualmente investimenti finalizzati al controllo degli impatti ambientali derivanti dalle proprie attività, alla prevenzione di eventuali rischi, al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico e all’ottenimento dei titoli di efficienza energetica. 

Una recente attestazione di tale impegno è rappresentata dal rilascio della certificazione Ecolabel per il servizio di pulizie a marchio Green Leaf, a riprova degli elevati standard ambientali che vengono applicati in tutte le fasi e della qualità ecologica complessiva. 

Coopservice ha inoltre promosso iniziative di sensibilizzazione e coinvolgimento di soci e dipendenti nell’adozione di pratiche quotidiane all’interno dei luoghi di lavoro quali ad esempio l’introduzione della raccolta differenziata negli uffici della sede centrale e delle principali filiali, una delle azioni che fanno parte del progetto ‘Think Green’ : all’interno degli uffici, nelle sale riunioni e nelle aree ristoro sono stati posizionati appositi contenitori per la raccolta differenziata promuovendo contestualmente un’azione di informazione verso tutti i dipendenti. I risultati ottenuti sono stati molto incoraggianti: la differenziazione dei rifiuti condotta a livello dei singoli uffici solo nella sede centrale ha consentito di conferire il 58% in meno di rifiuti indifferenziati, portando contestualmente ad un significativo incremento dei conferimenti di organico, vetro, alluminio, plastica. 

Del progetto ‘Think Green’ è parte anche l’iniziativa ‘Plastic Free’,  una serie di misure per eliminare la plastica monouso in 15 delle principali sedi e filiali, quali l’eliminazione delle bottigliette dai distributori automatici e la sostituzione di tutti i contenitori di plastica monouso, come i bicchierini per le bevande calde, con prodotti in materiale biodegradabile. Per facilitare ulteriormente le pratiche di riutilizzo a tutti i lavoratori delle sedi interessate sono poi state distribuite borracce personalizzate termiche in acciaio per i propri approvvigionamenti di acqua o bevande. 

Va ricordato che Coopservice figura tra i firmatari del ‘Manifesto per il nuovo Green Deal’, un documento sottoscritto dai rappresentanti delle più importanti aziende e organizzazioni di impresa del Paese per dare impulso all’attuazione degli obiettivi definiti dall’European Green Deal e dal Circular Economy Action Plan, i programmi per la crescita sostenibile varati recentemente dalla Commissione Europea.

Tags: Agenda 2030, sostenibilità, smart city, città, sviluppo urbano, sviluppo sostenibile