Lunedì, 29 Giugno 2020 07:19

La sconfitta della fame e della malnutrizione tra progressi e crescenti contraddizioni In evidenza

Scritto da

Di Coopservice  24 giugno 2020 - Il raggiungimento dell’obiettivo numero 2 dell’Agenda 2030 dell’ONU chiama in causa anche le nostre scelte di consumo

Le dimensioni del problema

Obiettivo ‘Fame Zero’, ovvero assicurare a tutte le persone un’alimentazione sicura, nutriente, sana e sufficiente, eliminando la malnutrizione e sostenendo un’agricoltura sostenibile, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il ‘goal’2 dell’Agenda 2030 sottoscritta dai 193 Paesi del pianeta è un obiettivo strettamente correlato a quello che lo precede, ovvero la lotta alla povertà. Certo le problematiche del minimo sostentamento non sono che una parte delle diverse dimensioni delle situazioni di povertà, le quali richiedono interventi integrati che, oltre al campo economico e della sussistenza, chiamano in causa politiche sociali, sanitarie, culturali e ambientali.

Ciò non toglie che affrontare la questione della malnutrizione allarga l’orizzonte dell’Agenda ad un concetto, quello della ‘insicurezza alimentare’, che incide sull’umanità molto di più di quanto comunemente si creda. Intanto occorre registrare che sono oltre 800 milioni gli esseri umani ‘denutriti’ nel mondo: significa che 1 persona su 9 dell’intera popolazione terrestre non ha abbastanza da mangiare. Se poi passiamo dal concetto di ‘denutrito’ a quello di ‘malnutrito’ ovviamente i numeri si ingrossano: 1 persona su 3 deve affrontare questo problema.

È l’infanzia la componente demografica più esposta. Quasi la metà delle morti planetarie di bambini al di sotto dei 5 anni è proprio dovuta alla insufficiente alimentazione: sono più di 3 milioni all’anno. E se vogliamo aggiungere altri numeri assoluti per fare capire le dimensioni reali del problema consideriamo che si calcolano in 66 milioni i bambini che ogni giorno vivono affamati, di questi 23 milioni in Africa. Ma anche Sud America, Asia meridionale e Asia occidentale sono interessati dalla questione.

Tra progressi, crescenti diseguaglianze e… effetto Covid-19
Cercando di cogliere, con uno sguardo dall’alto, l’evoluzione e la prospettiva della problematica alimentare occorre anzitutto chiarire che i progressi compiuti negli ultimi decenni sono innegabili: senza andare troppo a ritroso, ma anche solo fermandosi ai numeri del 1990, ad oggi rispetto a quella data sono oltre 200 milioni le persone che non soffrono più la fame, nonostante la popolazione mondiale sia nel frattempo aumentata di quasi 2 miliardi. Le mappe della Fao (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) visualizzano, nel tempo, miglioramenti della situazione in Centro America, Sud America, Asia meridionale e occidentale. Progressi riscontrabili anche per parti del continente africano, pur nella permanenza di condizioni di allarme rosso in vaste aree sub-sahariane.

Spingendo poi solo un attimo lo sguardo più indietro va ricordato che negli ultimi decenni si è relativamente ridotta l’incidenza delle grandi catastrofi alimentari, mentre la storia delle prime decadi del ‘900 e dell’intero ‘800 è costellata da crisi e carestie da oltre 1 milione di morti.

Se dunque nel lungo periodo i progressi sono presenti, non mancano però i segnali di controtendenza e contraddizione. Intanto si riscontra che, dopo decenni di miglioramento, dal 2014 la tendenza positiva si è invertita e la curva della fame ha ripreso a salire. Ma, soprattutto, crescono le diseguaglianze tra le parti del pianeta che ancora soffrono i morsi della denutrizione (il 13% degli abitanti totali dei Paesi in via di sviluppo) ed i territori a più alta qualità della vita dove invece una buona parte della popolazione è sovrappeso (un terzo degli adulti e il 44% dei bambini) ed enormi quantità di derrate alimentari finiscono tra i rifiuti. Si pensi solo che nel mondo va sprecato un terzo dei 4 miliardi di tonnellate di cibo prodotto ogni anno, il che genera un costo per l’economia globale di circa 750 miliardi di dollari l’anno.

Andranno infine riscontrati gli effetti sulla situazione della pandemia in corso: secondo David Beasley, direttore esecutivo del World Food Programme (WFP), il Covid-19 potrebbe quasi raddoppiare il numero delle persone che soffrono la fame acuta nel mondo entro la fine del 2020.

Anche la fame è un fenomeno complesso
L’impegno delle Organizzazioni Internazionali per i bisogni alimentari di vasti parti del pianeta non nasce certo con l’Agenda 2030. L’atto di nascita della FAO è praticamente contestuale a quello dell’ONU (1945) e data 1961 l’anno di fondazione del WFP, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare e che costituisce la più grande organizzazione umanitaria nel mondo. Si tratta di un impegno di lunga data che ha fornito un notevole contributo ai progressi registrati nell’accrescimento dei livelli di nutrizione, nell’aumento della produttività agricola, nel progressivo miglioramento della vita delle popolazioni rurali.
Anche la fame però, come la povertà, è una piaga che ha radici diversificate e richiede approcci integrati, multidimensionali. Ad esempio le crescenti diseguaglianze economiche e finanziarie, con le mai superate pratiche di sfruttamento post-coloniale da parte delle economie forti nei confronti dei Paesi più deboli, generano dinamiche che si ripercuotono sugli strati più fragili di quelle società fino a causare insieme alla povertà, sottoalimentazione e malnutrizione.

Allo stesso modo, più recentemente, nelle aree in faticosa via di sviluppo i cambiamenti climatici hanno messo in ginocchio la produttività delle risorse agricole generando un ritorno dei fenomeni dell’inurbamento incontrollato (abbandono delle campagne e crescita a dismisura delle metropoli) e delle migrazioni di massa: ha origine probabilmente proprio da qui la risalita della curva della fame registrata dal 2014. Va infatti ricordato che l’agricoltura è il settore che impiega il maggior numero di persone in tutto il mondo, fornendo mezzi di sostentamento per il 40% della popolazione mondiale. E che è la principale fonte di reddito e di lavoro per le aree più povere del pianeta.

Che fare: gli 8 target dell’Agenda 2030
Come per tutti i 17 goal anche per l’obiettivo ‘Fame Zero’ l’Agenda ONU definisce dei ‘target’, ovvero obiettivi precisi da raggiungere in vista del raggiungimento del traguardo finale. In questo caso oltre ai miglioramenti nutrizionali viene posta specifica attenzione alla tutela delle piccole produzioni agricole, al loro sviluppo ecosostenibile, agli investimenti in infrastrutture rurali per migliorare la capacità produttiva dei Paesi meno sviluppati, alla riduzione delle distorsioni dei mercati agricoli con particolare attenzione al corretto funzionamento delle compravendite di materie prime alimentari (cereali, olii, zucchero, bevande tropicali, tabacco, derivati del latte, carni ecc.) al fine di tenere sotto controllo l’estrema volatilità dei prezzi, letale per i piccoli produttori.

Il problema della malnutrizione nel nostro Paese
L’Italia, come noto, appartiene al novero delle economie più sviluppate del mondo. Siamo dunque toccati relativamente poco dal flagello della denutrizione ma siamo invece diffusamente interessati dai fenomeni che ne fanno da contraltare, quali la cattiva alimentazione che si accompagna a diffusi stili di vita sedentari e che, come riportato da anni dalle indagini statistiche dell’Istat, è alla base delle condizioni di obesità e sovrappeso di crescenti porzioni della popolazione.

Il contributo che può portare ciascuno di noi
Va in ogni caso considerato che esistono anche nel nostro Paese situazioni di indigenza che non rendono scontato il pasto quotidiano e che la battaglia per ridurre la fame nel mondo, ed insieme a questa il contraltare della cattiva alimentazione, passa anche dalle nostre scelte quotidiane di consumo.

Ecco dunque un breve elenco di alcuni comportamenti che ciascuno di noi può facilmente attuare:
– prestare attenzione alle iniziative di raccolta di derrate alimentari proposte frequentemente sul territorio;
– valutare l’acquisto di prodotti di cui viene certificata la provenienza da piccoli produttori di Paesi in via di sviluppo;
– non sprecare cibo, congelando i prodotti freschi e gli avanzi se non abbiamo la possibilità di mangiarli prima che deperiscano;
– visitare i mercati contadini dove vengono proposti prodotti locali e di stagione;
– qualora vi siano le condizioni, provare a coltivare in proprio qualche frutto o verdura che consumiamo;
– optare per una alimentazione sana, evitando cibi con troppi zuccheri o grassi, e per uno stile di vita attivo, riempito quotidianamente di movimento e di interessi.