Venerdì, 25 Ottobre 2013 16:47

Il volto sfigurato della montagna In evidenza

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Parma, 25 ottobre 2013
 
Il comunicato di Rete Ambiente Parma su tagli boschivi e centrali a biomassa -

Il paesaggio della nostra montagna cambia in peggio.

E comincia ad allarmare.

Boschi come groviere, strade sfondate dai camion che portano via legna, frane, interruzioni di strade, sempre meno turisti e sempre meno gente nei paesi.

E' un fuggi fuggi con gli ultimi scampoli di malloppo.

Non si tratta più di autoconsumo di legna, come la burocrazia si ostina ancora a identificare i tagli selvaggi che possiamo osservare senza particolari ricerche.

Il fabbisogno della gente di montagna è irrisorio rispetto a quanto tagliato.

Siamo davanti ad un taglio industriale vero e proprio, ad una vera e propria speculazione economica.

Con ben pochi soldi che restano in montagna.

La gran parte va a chi commercia legna in pedemontana.

Altri vanno ai proprietari dei boschi, in gran parte da tempo residenti in città.

Altri ancora vanno a remunerare l'acquisto di macchinari per il taglio ed il trasporto.

Certo, tanti sono gli addetti e qualcosa si mettono in tasca. Ma la gran massa di queste opere viene eseguite da imprese nate dal nulla, che utilizzano gente straniera, pagandola in nero e a resa.

Soldi di cui praticamente non resterà traccia nel parmense.

I versanti li troviamo spogliati, le deformate.

Nessun giovamento alla vita dei paesi, né lavoro per trattenere i giovani.

La legge c'è, permette ai proprietari dei boschi di tagliare fino ad un massimo di 6 ettari.

Ma è una legge che non tiene conto della speculazione sulla legna da ardere.

Se il mercato inducesse la gran parte di chi possiede boschi a tagliarli per far soldi, complice una ulteriore recrudescenza della crisi economica, e tutti tagliassero, chi li potrebbe fermare?

Non certo questa legge.

Occorrerebbe preoccuparsi di non intaccare la rinnovabilità dei boschi e di non accrescere il degrado idrogeologico, come sarebbe necessario un piano annuale dei tagli che tenga conto di limiti certi e non possa essere eluso e superato.

Molti amministratori invece sostengono le tesi dei tagliatori.

"L'abbandono dei boschi è palese e non è positivo. Una politica delle comunità montane che possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi, garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro".

Finanziamenti di Regione e Provincia per la montagna sono, infatti, solo finalizzati dotare di macchinari di taglio le comunalie e soprattutto ad impiantare centrali termiche a cippato.

Non si comprende cosa voglia dire creare posti di lavoro nel taglio dei boschi.

Il lavoro lo crea già il taglio speculativo e selvaggio, lo crea il mercato della legna da ardere.

Dotare di mezzi meccanici di taglio una comunalia significa dare man forte a tale mercato senza regole, incentivare le comunalie a far parte di tale meccanismo perverso.

D'altronde, la cosa è del tutto coerente alle affermazioni di funzionari ed amministratori.

Qualcuno sostiene "siamo seduti su un nuovo petrolio e neanche ce ne accorgiamo".

Altri affermano che potremmo anche tagliare tutto quello che è ricresciuto nei boschi da quarant'anni a questa parte senza preoccupazione alcuna per la rinnovabilità.

Anche se la rinnovabilità annuale, il 4% di tutta la massa boschiva, è decretata dalla Regione come non superabile.

Ormai chi abita in montagna per riscaldarsi non usa più il gpl, né tanto meno il gasolio, entrambi carissimi. La gente è tornata a bruciare legna nei camini, nelle stufe, dotandosi anche di moderne stufe a pellet o stufe miste pellet-legna.

In montagna, da sempre, si usa legna che brucia bene, legna stagionata due anni: un anno all'aperto, uno al chiuso, in modo che il tenore di umidità sia inferiore al 20% ed il rendimento di calore sia alto.

Perché allora impiantare centrali a cippato per produrre calore per il teleriscaldamento, con potenze da 500 Kw a 1.000 Kw?

Per avere meno emissioni nocive rispetto alle vecchie stufe a legna?

Ma le centrali bruciano cippato fresco, con umidità elevata, basso rendimento, senza alcun filtro per abbattere le emissioni nocive.

Il filtro multiciclone serve solo a raccogliere le ceneri volanti.

Le centrali sono completamente automatizzate e non creano posti di lavoro.

Perché buttare tutti quei soldi nelle centrali termiche e non nel risparmio energetico?

Perché non avviare la ristrutturazione dei borghi per un'accoglienza turistica diffusa che creerebbe subito posti di lavoro nell'edilizia?

L'intento inconfessabile delle amministrazioni è produrre con le centrali anche elettricità, come sta facendo Monchio.

Ma sarebbe una follia.

La legna ha un rendimento bassissimo e bruciare i nostri boschi per produrre poca elettricità non porta da nessuna parte.

Solo verso il baratro ecologico.

Giuliano Serioli

(Fonte: Rete Ambiente Parma)