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Cibus Agenzia Stampa Agroalimentare: SOMMARIO Anno 14 - n° 3 18 gennaio 2015

SOMMARIO

Anno 14 - n° 3 18 gennaio 2015
1.1 editoriale Parigi, in scena demagogia e insicurezza
3.1 sicurezza alimentare L'Efsa sul latte crudo
4.1 Lattiero caseario Zangolato e crema perdono oltre il 6%. Fermi gli altri derivati e le due principali DOP
5.1 export Parmigiano Reggiano, accordo in Algeria per nuove esportazioni
5.2 eventi Identità Golose, alta cucina al MiCo
5.3 burro Da Marzo il registro del burro passa tramite il SIAN
6.1 OGM le posizioni Positivo l'accordo sugli OGM per la CIA.
6.2 OGM le posizioni Coldiretti, positivo il semestre di presidenza italiano
6.3 OGM le posizioni La posizione del Ministero
7.1 OGM a go-go OGM, l l'UE cala le "brache". Approvata la libera scelta degli Stati membri.

Cibus 3 18gen15 COP

Domenica, 18 Gennaio 2015 12:27

Parigi, in scena demagogia e insicurezza

Ma quale 11 settembre europeo. Se un paragone si deve fare è con l'attentato di Boston del 2013. Tutto è sproporzionato dall'attacco alla risposta. Un carico di demagogia mondiale che spaventa più dei terroristi.

di Lamberto Colla - Parma, 18 gennaio 2015 -
Chapeau al popolo e all'orgoglio francese. In quattro milioni hanno avuto il coraggio di adunarsi attorno al proprio Presidente riuscendo, con questa imponente manifestazione, a nascondere le enormi magagne dei servizi di sicurezza, dei leader di governo e anche delle teste di cuoio. Cuoio che era sicuramente sotto le suole di quella decina di soldati (vedi video) incapaci a risalire il dislivello del giardinetto a fianco del Super Cascher. Ridicolizzati dalle riprese televisive in uno dei momenti più drammatici del sequestro nel supermercato ebreo. Papere e non soldati così come sono sembrati l'armata brancaleone quelle teste di cuoio intente a fare irruzione.

Figure di "cacca" a ripetizione. Dai servizi segreti che non accolsero l'allarme lanciato dai colleghi algerini che indicarono per il 6 gennaio il probabile attacco terroristico, poi avvenuto il giorno seguente.
A una settimana di distanza da quella che è stata esaltata come la più grande manifestazione contro il terrorismo e per la quale in tutto il mondo si sono consumati quintali di inchiostro intriso di sconveniente demagogia credo sia il momento di esprimere i sentimenti e le oggettive considerazioni che le immagini e le testimonianze, diffuse dal 7 gennaio a tutt'oggi, consentono di fare.

L'attacco terroristico è indubbio che sia stato di una violenza e vigliaccheria impressionante, portato a termine contro obiettivi inermi, impossibilitati a difendersi. La dinamica sembrava più una esecuzione di stampo mafioso piuttosto che un atto di terrorismo orchestrato con l'intento di destabilizzare un popolo o addirittura tutto l'occidente come i media europei cercano di inculcarci nella testa.
Ben lungi, quindi, dal poterlo paragonare all'attacco dell'11 settembre dove ben tre aerei civili furono dirottati e con sangue freddo pilotati contro le contro le Torri Gemelle e il Pentagono. Piuttosto, se una analogia si deve fare, è con l'attentato alla maratona di Boston del 2013 dove persero la vita tre spettatori e altri 269 vennero feriti dalle due bombe azionate dai fratelli di origine cecena, Dzhokhar e Tamerlan Tsarnaev, quest'ultimo morto durante la fuga, mentre per Dzhokhar è iniziato il processo lo scorso 5 gennaio .

L'attacco parigino è stato di ben altra portata dall'attentato delle Torri gemelle!
4 scalmanati, probabilmente "strafatti" di droga hanno trucidato, a colpi di Kalashnikov, dei giornalisti inermi in una Parigi stranamente deserta e dopo avere addirittura sbagliato il numero civico della redazione del giornale. Uno di loro ha persino perduto una scarpa, un altro la carta di identità e poi, indisturbati, se ne sono andati a oltre 70 km dalla capitale. 80.000 uomini impiegati alla loro ricerca ma vengono riconosciuti da un addetto alla pompa di benzina. Ciononostante fanno perdere le loro tracce. Nel frattempo, un loro amico forse accompagnato dalla moglie che poi si scopre essere in Siria da 5 giorni o da un altro terrorista o forse da solo, distrae l'attenzione della polizia sequestrando personale e avventori di un supermercato ebreo dove si consuma, in diretta televisiva, l'orrore delle forze speciali. Speciali solo nel caos e non nella professionalità d'intervento. Ammassati contro la porta di ingresso come fossero al tornello dello stadio, altri che ruzzolano giù da una scarpatina del giardinetto incapaci di raggiungere il colmo e per fortuna che all'interno un giovane dipendente, peraltro mussulmano, riusciva a mettere al sicuro almeno 5 persone.

Servizi segreti ridicolizzati, forze speciali inguardabili e 80.000 uomini incapaci di trovare i terroristi già identificati grazie alla carta di identità dimenticata nella prima vettura sequestrata. C'è da esserne certi, se non avessero perduto la carta di identità, l'intelligence francese sarebbero ancora a cercare questi fantasmi.

No, così non va.
L'incolumità di ogni cittadino all'interno dell'area di Schengen è protetta dai sistemi di sicurezza di tutti i paesi dell'UE ma soprattutto è necessario contare su quelli dove, per ragioni storiche diverse, i servizi segreti e le forze speciali hanno una tradizione di efficienza e tra questi, oltre alla Francia, vi sono quelli del Regno Unito, dell'Italia, della Spagna, e della Germania. Dai servizi di queste nazioni ci si attende quasi la perfezione anche perché del problema dell'islamismo radicale se ne discute da almeno un decennio.

Invece, in questa circostanza, la Francia ha fatto rabbrividire e trasmesso una sensazione di insicurezza inaccettabile.
Se L'Italia avesse dato una dimostrazione di inefficienza pari o inferiore alla metà di quella offerta dai francesi saremmo stati sputtanati da tutto il mondo, espulsi dall'Europa, dalla Nato e dalla cartina geografica. I partiti di opposizione e le frange dissidenti del PD avrebbero aperto un fuoco di insulti da fare rabbrividire e le immagini sull'Italia avvolta nel tricolore sarebbe stata declinata nei modi più osceni, ridicoli e offensivi dai giornali di tutto il mondo.

Invece su Parigi no, non si può. Tutti raccolti attorno al "bambolotto" Hollande, tutti tranne Obama, il quale prudentemente ha trovato una scusa per declinare l'invito.

Renzi a Parigi con gli altri leader a braccetto con Hollande - Foto Governo.

Le decine di capi di Stato o di Governo abbracciati a Hollande sono la dichiarazione certificata della insicurezza dell'occidente non della forza di reazione, tant'è che altre minacce sono state subito lanciate al nostro riguardo.

L'Europa intera, e non solo la Francia, ha dimostrato che 4 smandrapati sono in grado di mettere in crisi i servizi occidentali. Chiunque tra i "terroristi dormienti", dopo questa dimostrazione di debolezza, prenderanno coraggio pensando di avere gioco facile contro le forze di polizia di tutt'Europa e partiranno alla caccia di qualche obiettivo, mediaticamente rilevante, con la spavalderia di riuscire nell'intento e di farla anche franca.

Quello che si è consumato a livello politico dopo la manifestazione è altrettanto inquietante.
Nessuno d'accordo sul da farsi. Dal chiudere le frontiere alla pena di morte queste le più interessanti proposte che son venute fuori. Certo, torniamo indietro, rimettiamo le barriere per i cittadini europei limitando la loro libertà e la pena di morte per i martiri islamici, proprio quelli pronti a farsi saltare in aria con l'aspirazione di raggiungere il loro paradiso dopo avere ucciso, col loro sacrificio, gli "infedeli".

Un vuoto pneumatico delle intelligenze.
In questi tempi tra conflitti diffusi in tutto il pianeta ed insicurezza globali, le prospettive di ulteriori escalation dell'intolleranza e della violenza risultano altamente probabili. Le risposte politiche e di ogni cittadino devono essere ponderate e intelligenti, aperte verso gli altri ma anche determinate a difendere la nostra libertà.
I politici devono interrogarsi su quali siano gli obblighi dei paesi civili a protezione del bene comune, della vita umana e del futuro del pianeta.

Occorre che si facciano i conti con gli errori fatti nell'effimera Primavera islamica, e più indietro in Afganistan e Iraq e così via per quanto riguarda il mondo occidentale e altrettanto devono fare i grandi Paesi di religione Mussulmana per trovare le ragioni degli scontri e i motivi di una nuova convivenza tra due tradizioni e culture antiche che hanno entrambe sbandato sotto l'insegna della "modernità".

Serve ora una pausa di riflessione. I francesi dovrebbero interrogarsi urgentemente sul loro Governo e sulle loro forze di sicurezza, tutte nessuna esclusa, e gli Stati disuniti d'Europa pensare a come uscire da questa situazione di debolezza su tutti i fronti.

Se una cosa, noi italiani, dovremmo imparare dai francesi è l'unità del popolo, l'orgoglio nazionale di riunirsi tutti attorno al proprio "capo", anche se ben lungi dall'essere un Charles De Gaulle e tutti pronti alla difesa e alla reazione. Di de Gaulle è rimasta la portaerei che Hollande, alcuni giorni fa, avrebbe deciso di mandare in Iraq a combattere il terrorismo dimostrando ancora una volta di non capire niente, nemmeno dopo il disastro dell'intervento, voluto dai francesi a tutti i costi, in Libia e la figuraccia di Charlie Hebdo.

Comunque il Presidente francese faccia ciò che meglio crede, c'è da augurarsi che questa volta gli uomini di buon senso non si facciano trascinare in questa direzione che ha dimostrato di essere inefficace anzi una pessima soluzione.

In Italia abbiamo una chance per cominciare a intraprendere questo cammino d'unità, l'elezione del Presidente della Repubblica.

Staremo a vedere chi i grandi elettori riusciranno a proporre e il parlamento a tirar fuori dal cappello a cilindro.

Basta con le mortadelle, confidiamo in qualcosa di più consistente e autorevole.

Pubblicato in Politica Emilia

Castelnovo sotto (RE) - L'associazione "Centro Culturale Islamico" di Castelnovo di Sotto (RE), per il tramite del proprio presidente sig. Tassa Hassan, condanna fermamente gli attentati e gli atti di violenza accaduti nella giornata del 7 gennaio 2015 a Parigi, presso la sede della rivista Charlie Hebdo nonché contro le forze dell'ordine e le vittime dei successivi sequestri.

Il Centro Culturale Islamico di Castelnovo di Sotto esprime le proprie condoglianze ai familiari di tutte le vittime, alle forze dell'ordine ed a tutta la Francia. Eventi tragici come quelli occorsi in Parigi ricordano a tutti come sia sempre più necessario restare uniti contro ogni forma di violenza, lavorando insieme per difendere valori universali come la libertà di stampa, di opinione, in una parola la democrazia. Oggi è sempre più doveroso portare avanti un dialogo tra le religioni e le culture, per la promozione del pluralismo democratico.

(Ufficio Stampa Centro Culturale Islamico di Castelnovo Sotto)


Il Comune di Correggio aderisce e partecipa alla manifestazione di domenica 11 gennaio a Reggio Emilia

Correggio 10 gennaio 2015 - Anche il Comune di Correggio aderisce con convinzione a "Liberté, egalité, fraternité, in marcia per rimanere umani", manifestazione in solidarietà al popolo francese e alle vittime dell'attentato a "Charlie Hebdo", contro ogni forma di terrorismo, promossa da Provincia e Comune di Reggio Emilia domenica 11 gennaio alle ore 15,30, con ritrovo in Piazza Gioberti, a Reggio Emilia, per confluire poi in piazza Prampolini.

Come già espresso dai promotori dell'iniziativa, l'amministrazione correggese sottolinea che quanto avvenuto a Parigi è stato un attacco alla libertà d'espressione, cuore dei principi democratici dell'Unione Europea, verso il quale non è possibile rimanere indifferenti. La partecipazione alla
marcia a Reggio Emilia vuole così testimoniare la volontà di continuare nella strada del dialogo intrapreso per sostenere l'incontro, invitando a partecipare chi crede che nessuna religione possa giustificare un atto criminale e violento e che noi tutti siamo esseri umani che affermano il valore della diversità e del dialogo, della pace e della non violenza".
(Comune di Correggio)

Domenica, 11 Gennaio 2015 09:35

Carpi alza al cielo le matite per Charlie Hebdo

Manifestazione pacifica in centro per ricordare i vignettisti del settimanale francese uccisi dai fratelli Kouachi

di Federico Bonati Carpi (MO) 10 gennaio 2015 – Ore 11.30: davanti al municipio carpigiano cala il silenzio. Una folla di oltre un centinaio di persone è lì per dire no alla violenza, no all'estremismo, chinando il capo, restando in silenzio e alzando una matita, in ricordo dei vignettisti di "Charlie Hebdo" uccisi nell'attentato del 7 gennaio. La manifestazione, promossa dall'Unione delle Terre d'Argine, ha registrato un'ampia partecipazione, tra amministratori comunali, giovani, genitori con i figli, anziani. Nulla di particolare, non fosse per il fatto che molti di questi erano fedeli musulmani, accorsi per dire pacificamente che quanto è accaduto è barbarie, non è Islam.

Uno accanto all'altro, uomini e donne, cristiani e musulmani, stretti nel cordoglio per quanto successo, in un clima di pace, rispetto e tolleranza; un clima che sempre più sembra un'utopia in questo momento, ma che utopia non è.

Carpi - giovani con la bandiera del Marocco

"Essere qui è importante – dice un ragazzo giunto da Novi di Modena – soprattutto per quanto rappresenta questa matita: al sangue si risponde con essa". Quella matita è un simbolo, il simbolo della libertà di espressione, valore fondamentale di ogni essere umano, che in alcun modo può essere messo a tacere, men che meno attraverso la violenza.

Salah Moudni, presidente dell'associazione della Consulta per l'Integrazione Novese, ricorda come il profeta Maometto, nel nome del quale si uccide nel mondo, non recò mai violenza a nessuno: "Tanti lo criticarono, ma lui non usò mai violenza. E chi lo criticò, alla fine lo seguì". Inevitabile interrogarsi sul perché il mondo arabo non abbia preso ferme distanze da quanto compiuto a Parigi dai fratelli Kouachi, cosa invece fatta da migliaia di musulmani in tutto il mondo, e la risposta di Moudni è eloquente: "Qui c'è la libertà di farlo, là da dove ce ne siamo andati noi, purtroppo no".

Ha le idee molto chiare anche Ouriga Noureddine, responsabile dell'associazione Comunità dei Musulmani di Carpi: "Questi non erano fedeli, ma due delinquenti. Queste persone non hanno capito nulla della nostra religione, che è pace e amore. Hanno danneggiato l'immagine dell'Islam, e ancora di più l'immagine di tutti noi musulmani".

Concluso il momento di raccoglimento, uno scrosciante applauso pervade la zona e ognuno dei presenti appone la propria firma su un cartellone bianco recante la scritta: "Il silenzio di tutti nel rispetto della libertà di tutti".
Attraverso questa manifestazione Carpi ha voluto gridare, attraverso il silenzio, l'amore per la libertà e per i diritti di ognuno, sfatando inoltre il tabù che il rispetto, la pace e la tolleranza fra le culture siano una chimera, perché oggi Piazza Martiri ha dimostrato il contrario.
Ognuno oggi, a Carpi, era Charlie Hebdo.

Pubblicato in Cronaca Modena


Francia, Inghilterra, Italia saranno nel mirino del terrorismo internazionale di matrice islamica estremista per un bel po' di tempo. I servizi di intelligence difficilmente riusciranno a intercettare le azioni di queste micro cellule autogestite. Ma non bisogna farsi prendere dalla tentazione di un'altra guerra bensì usare, finalmente, la Forza della Ragione invece della Ragione della Forza.

di Lamberto Colla - Parma 08 gennaio 2015 - -
Sgomento, pena e rabbia sono i sentimenti che a caldo hanno raggiunto tutti coloro che hanno assistito alla diffusione delle immagini dell'attacco terroristico al giornale satirico francese Charlie Hebdo reo di avere "insultato" l'Islam con le sue vignette. Niente di più e niente di meno di quanto fatto per il presidente Hollande o il Vaticano. Come tutti i giornali satirici tutto e tutti sono attaccabili con la crudeltà e il cinismo della vignetta satirica.
Ma l'Islam non ci sta e la sua "fede" la difende con le armi e con la crudeltà.

Già per molti mesi, alcuni anni fa, la sede del giornale e i giornalisti stessi sono stati a lungo scortati giorno e notte per timore di qualche incursione di fanatici.
Ma quello che è accaduto ieri è stata una vera e propria azione di guerriglia urbana. Un assalto studiato per distruggere, registrare e diffondere il terrore, quindi tornare nell'ombra per uscire nuovamente a colpire un nuovo obiettivo.

Non un attacco di kamikaze, non il gesto di un fanatico votato alla morte perché nulla ha più da desiderare dalla vita ma una vera e propria azione militare.
Certo i giornalisti, almeno i sopravvissuti, hanno potuto difendersi solo attraverso la fuga ma la vittoria militare, seppure infame perché l'azione è stata rivolta contro inermi, c'è stata perché gli avversari, i servizi segreti francesi nello specifico, ma avrebbero potuto essere anche quelli inglesi o italiani che il risultato sarebbe stato analogo, non hanno saputo intercettare e disinnescare l'attacco.

Queste micro cellule terroristiche hanno, e uso il plurale nella consapevolezza logica che di molte ve ne siano dormienti in occidente, la capacità di mimetizzarsi all'interno, molto probabilmente, delle organizzazioni criminali locali da dove riescono a ottenere documenti e armi. L'addestramento invece è plausibile che venga svolto non in campi d'addestramento facilmente identificabili bensì nelle campagne di guerra dei neo califfati dove l'evoluzione di Al Qaeda sta portando morte e cruente esecuzioni come ci ha abituati a vedere la Tv dalla Siria al nord africa, ma anche in Somalia e in oriente estremo. Sgozzamenti in diretta, anche collettivi, attacchi a rappresentanti delle forze dell'ordine come in Australia e in Canada e ora anche la Francia con un attacco dall'impatto emotivo notevole anche in forza della rapida viralizzazione dei documenti filmati che hanno testimoniato l'efferatezza dell'attacco e la determinazione di chi l'ha condotto.

Sono terroristi della porta accanto, europei di seconda e terza generazione convertiti all'inumanità, quel sentimento che nessuna religione riconosce ma che la società moderna, con le sue storture, ha alimentato e questi uomini e donne "senza radici" preso a pretesto per assumere una posizione sociale.
E' d'obbligo, e lo sarebbe stato da molti anni sin dall'attacco alle torri gemelle, interrogarsi come arginare il fenomeno che non va confuso in guerra di religione ma il frutto del progressivo e costante divario sociale interno all'occidente e non solo.

La spregiudicatezza della finanza internazionale, che come un tumore si insinua in ogni angolo del globo ove sia possibile una speculazione redditizia e dove non è possibile genera le condizioni di crisi per poter goderne dei frutti della ricostruzione, ha pari responsabilità della politica internazionale.
Senza dover necessariamente cavalcare l'idea di un governo guidato da pochi "illuminati" il sospetto che dietro a molti degli eventi e tumulti qua e là sparsi nel mondo ci possa essere una regia è elevato e che sia in atto una terza guerra mondiale ormai è palese.

Di fronte a questi segnali di instabilità globale occorre fare uno sforzo ragionevole. Usare l'intelligenza e dare libero sfogo alla Forza della Ragione invece di perseguire la Ragione della Forza. Non vuol dire disarmarsi ma armarsi di nuovi strumenti esportando la condivisione di obiettivi sani e morali e non la "democrazia occidentale" come tentarono malamente gli statunitensi. Occorre difendersi con l'intelligence, con uomini preparati e addestrati all'antiterrorismo internazionale. Investire negli uomini e non negli aerei da combattimento. Negoziare la pace o meglio la libera convivenza nel rispetto delle civiltà e delle fedi senza lasciarsi trasportare da idee e convincimenti demagogici da un lato o colonizzatori dall'altro.

La libertà è sacra e va prima conquistata e poi difesa. La difesa è un atto di prevenzione e perciò tipica dei paesi occidentali mentre la conquista è un'azione di ribellione che, seppure raramente sia accaduto, può essere acquisita attraverso azioni di pressione intellettuale invece delle azioni militari.
Auguriamoci quindi che la tragedia francese non sia il nuovo pretesto per una azione di guerra oltre confine che, ormai è documentato, non farebbe che alimentare l'odio e creare reazioni a catena incontrollabili.

Oggi il lutto è in Francia, ma domani sarà in Inghilterra per raggiungere l'apice mediatico quando l'attacco sarà rivolto all'Italia e al Vaticano. Bisogna agire in fretta e con intelligenza. Quel dono che Dio ha destinato agli uomini per differenziarli dagli animali ma di cui si è perduta traccia.

Pubblicato in Politica Emilia
Martedì, 02 Settembre 2014 09:00

Il terrorista della porta a fianco

E' caccia al terrorista inglese che ha sgozzato Foley. Le esecuzioni in diretta sono il brand dei nuovi jihadisti. E in Italia è allarme così come in Europa, Usa e nelle monarchie saudite.

di Lamberto Colla -
Parma 02 settembre 2014 -
Sono trascorse poche settimane dall'editoriale nel quale, analizzando i vari conflitti regionali, commentavo che era in atto la terza guerra mondiale.
Pensavo di azzardare troppo evocando un conflitto di tale portata e invece, nelle stesse ore molti sono stati i commenti che richiamarono l'attenzione su questa eventualità. Furio Colombo, dalle colonne del Fatto Quotidiano, titolava il suo pezzo "Iraq: la furia del boia di Londra è da vera guerra mondiale" ma a certificare la gravità della questione è stato persino il Santo Padre, quel Papa dolce e sorridente, che in questa occasione ha toccato un tasto politico di non lieve gravità. Per la delicatezza della questione religiosa ha dovuto, molto probabilmente, misurare le parole ma il solo fatto che sia intervenuto sulla questione ISIS qualche allarme lo suscita. "Lecito fermare l'aggressore ingiusto, ma non bombardare" ha affermato Papa Bergoglio che commenta anche, secondo quanto riportato dall'Agenzia ANSA "siamo nella Terza guerra mondiale, ma a pezzi". Ben più drammatico il giudizio del Vescovo ausiliario del patriarca di Babilonia e Presidente della Caritas iracheno Jshlemon Warduni il quale, prima a Famiglia Cristiana e negli ultimi giorni a media televisivi nazionali, ha così commentato l'avanzata dell'ISIS «Si sono aperte le porte dell'inferno e sono usciti tutti i diavoli. Il maligno si è scatenato». Per ultimo a intervenire sulla questione è il re saudita Abdullah: «Fermare subito l'Isis o tra un mese attentati in Europa e Usa».
Nel frattempo è caccia al terrorista che ha sgozzato il reporter Foley. Il maggiore sospetto ricade su un ex rapper inglese, Abdel-Majed Abdel Bary, il cui padre fu estradato due anni fa dall'Inghilterra agli Stati Uniti, accusato di coinvolgimento negli attacchi terroristici contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998. A quanto pare il buonismo occidentale ha dato frutti ben poco edibili. Talis pater et talis filiis. Chissà quante giovani teste calde sono sparse nel vecchio continente e negli USA pronti a fare qualche selfie con una testa mozzata di un "qualche cristiano" colpevole solo di avergli attraversato la strada.
Almeno 500 sono gli inglesi che sono partiti per la "guerra santa" dell'Isis.
E in buonismo noi italiani non abbiamo da imparare da nessuno. "Mare nostrum" docet.
Le cronache infatti riportano che, addirittura, abbiamo concesso a un Imam di fare prediche sul nostro territorio già nel 2011 nel cremonese per ben due volte, a Bergamo e a Pordenone. Quello che disse non si sa ma il signor Adhan Bilal Bosnic è indicato dai servizi di sicurezza un fondamentalista sostenitore della guerra santa in Siria e del Califfato oltre che uno dei leader whabbiti integralisti che stanno reclutando giovani per i gruppi armati dell'Isis.
L'Italia quindi non è immune dall'integralismo islamico. Almeno una cinquantina sarebbero i soggetti posti sotto osservazione dal ministero dell'interno perché sospettati di fare parte del gruppo terroristico dell'Isis appunto. E' di pochi giorni fa, infatti, l'interrogazione regionale dei consiglieri Gianguido Bazzoni e Luigi Giuseppe Villani (Fi-Pdl), in cui ricordano che diversi tra i 50 italiani "messi sotto osservazione dal ministero degli Interni", pronti a trasformarsi in "terroristi/guerriglieri", proverrebbero dall'Emilia Romagna e, in particolare, da Bologna e Ravenna.
La propaganda e il brand Isis.
Alcuni opinionisti iniziano a sospettare che molti dei filmati di condanna a morte con annessa decapitazione siano delle messinscene ma ormai il promo è passato e ha sicuramente affascinato alcuni dei tanti emarginati bisognosi di riscatto sociale. Quel riscatto che, probabilmente, non sono riusciti a conquistare dopo essere sopravvissuti al deserto e alla traversata in barcone del mediterraneo. Ed ora , grazie all'ISIS, avrebbero soldi, armi, donne e pure la possibilità di vendicarsi di tutti coloro che hanno rifiutato di allungare un'elemosina o non li hanno accolti al lavoro o di quei "caporali" che li hanno sfruttati in qualche campagna agricola e edile.
La minaccia è seria e il nemico è "fluido". Il terrorismo non ha confini, si infiltra in ogni pertugio e il ragazzo della porta a fianco potrebbe essere il nostro boia.
Questo è il terrorismo. Ancor più pericoloso perché non ha nemici istituzionali ma ogni cittadino occidentale è per loro un nemico. Tutti possiamo essere dei bersagli, peraltro, molto semplici da colpire perché ignari del pericolo.
Sta montando una mobilitazione mondiale. La cerca Obama, la invocano le monarchie saudite e gli inglesi sono già pronti a mettersi al comando di un gruppo di intervento.
Sul teatro di guerra forse si riuscirà a contrastare l'avanzata delle bandiere nere dell'Isis ma all'interno delle metropoli o nelle tante province occidentali la cosa si fa ancor più complicata. C'è da augurarsi che i nostri servizi di intelligence, nonostante i mutamenti organizzativi subiti, siano ancora capaci di contrastare la minaccia terroristica.
Ammesso che, i nostri 007, siano liberi da missioni all'estero per riportare a casa giornalisti in cerca del Pulitzer o giovani volontarie in vena di risolvere le diseguaglianze sociali.

Pubblicato in Politica Emilia
Venerdì, 09 Maggio 2014 09:00

Aldo Moro, una ferita ancora aperta.

 

 

Parlare del 9 maggio 1978 è ricordare una ferita aperta dello Stato italiano.

di Paola Tanzi - Parma 09 maggio 2014 ----

 Una ferita che neppure ora pare essere intenzionata a rimarginarsi. Perché trentasei anni dopo è ancora misteriosa la motivazione della morte dello statista.

Il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana, quel giorno, in via Caetani a Roma, non lontano da via delle Botteghe Oscure, dove aveva sede la segreteria e la direzione nazionale del Partito Comunista Italiano, ha segnato l’inizio di un’epoca, in cui i cittadini si sono resi conto della debolezza dello Stato in mano ad una politica- quella della prima Repubblica- non più garante. 

È il risultato di un’epoca il delitto di via Caetani? La storiografia, che ancora scarseggia a causa dell’inaccessibilità dei documenti e dell’ancora presenza dei testimoni, non aiuta nella lettura di un episodio che ha recentemente aperto spiragli- ancora tutti da accertare- di nuove verità. 

Ma è chiaro che il clima di terrorismo e di (tentata?) solidarietà nazionale che contraddistinsero la fine degli anni Settanta furono lo sfondo sociale del delitto le cui cause, però, sono tutte da chiarire. 

I gruppi che si rifacevano all’estrema sinistra erano attivi dai primi anni Settanta con attentati incendiari isolati. Fu tra il ’72 ed il ’73 che l’azione si spinse verso i sequestri dei dirigenti industriali e dei magistrati, come il rapimento Sossi. Del ’76 l’uccisione del procuratore generale di Genova, Francesco Coco, e dei suoi due uomini della scorta: fu il primo assassinio programmato. Un salto di qualità, dovuto forse anche alla partecipazione alle azioni terroristiche dei due nuovi gruppi, i Nuclei armati proletari e Prima Linea. 

Dall’altra parte si acuì la crisi economica: nel 1975 il pil si ridusse del 3,6 per cento che lasciò elevata l’inflazione del 1976, dovuta in parte alla dilatazione dei consumi e alla crescita della spesa pubblica. Un effetto amplificato dall’introduzione della scala mobile e dalla disoccupazione giovanile, che sfociò in un malessere generale nel 1977 con lo scontro dei gruppi di Autonomia operaia. La contestazione generale vedeva come bersaglio principale la sinistra tradizionale, Pci e sindacati in testa: Lama, segretario della Cgil, fu addirittura aggredito nel febbraio del 1977 all’Università di Roma. Molti di questi giovani delusi dall’ondata del ’77, che nulla produsse, ripiegarono al ritiro privato; altri optarono alla linea terroristica che si impennò nell’azione. Solo in quell’anno 287 furono gli attentati, rivendicati da ben 77 sigle differenti; nel ’79 divennero 805, con ben 217 rivendicazioni siglate differentemente. Fu la fine dell’azione politica della Repubblica, in preda al terrore. 

L’azione che ne sancì il “potere” fu la presa di posizione contro lo Stato ed i suoi rappresentati: contro le sue decisioni, i suoi accordi. Contro la sacralità democratica delle sue istituzioni. La decisione di agire il giorno della presentazione del nuovo governo Andreotti, monocolore e democristiano, appoggiato da una maggioranza allargata anche al Pci, fu un chiaro segnale di rifiuto degli accordi e della trattativa. Un “no” a quella politica di solidarietà nazionale che tentava di arginare una destabilizzazione ormai non più rinviabile nell’azione di risposta.

Il 16 marzo del 1978 Aldo Moro fu rapito mentre si stava recando alla Camera per discutere la fiducia al governo presieduto da Andreotti. Dopo la notizia della drammatica vicenda di via Fani in tutto il paese sorsero iniziative spontanee ed il governo varò immediatamente la fiducia. «Una risposta veloce in difesa della democrazia violata» scrissero i giornali. 

Ma perché Moro?

Alla luce degli eventi storici e politici di quei giorni Moro rappresentava il punto di incontro di una situazione ancora complessa. Moro rappresentava una garanzia di certezza, un ponte verso il futuro con l’accordo con il Pci. Una politica di compromessi, che non tutti accettavano. 

Ma il capo militare delle Br, Mario Moretti, negò sin dal principio- indimenticabile l’intervista rilasciata a Giorgio Bocca per «L’Espresso», la scelta dettata dalla contingenza politica della vittima: era solo un rappresentante del potere democristiano. Tesi confutata negli anni ’90 dalla brigatista Anna Laura Braghetti, che parlò di Moro come «rappresentante di quel compromesso storico che ingabbiava l’opposizione subordinandola alla Dc».

Le interviste rilasciate in seguito dai coinvolti nella vicenda aprirono molteplici strade di questione ancora tutte da risolvere. In un recentissimo intervento Ferdinando Imposimato proclamò dal palco di Reggio Emilia: «L'uccisione di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e soprattutto per il volere di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e del sottosegretario Nicola Lettieri». Sempre secondo l’ex giudice istruttore della vicenda, riprendendo la tesi del fratello di Moro, Carlo Alfredo, che parlò di «delitto annunciato», gli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa erano a conoscenza di un’azione di alto livello». Nicolò Bozzo, stando a quanto riporta Moro nel libro sulla vicenda del familiare uscito nel 1998, disse: «Lanciammo l’allarme. Eravamo ai primi di gennaio del 1978». «Se non mi fossero stati nascosti alcuni documenti - ha aggiunto Imposimato nel 2013 - li avrei incriminati per concorso in associazione per il fatto. I servizi segreti avevano scoperto dove le Br lo nascondevano, così come i carabinieri. Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e la Polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell'uccisione ricevettero l'ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia». 

Ed è lo stesso Imposimato che nel giugno 2013 ha depositato un esposto alla Procura di Roma con queste dichiarazioni. Un atto che ha indotto la magistratura all’apertura di un fascicolo ove mancano, però, reato ed indagati. È solo una ricerca di nuovi elementi atti alla riapertura del caso e delle indagini. Le dichiarazioni dell’ex giudice, inoltre, vanno ad aggiungersi a quelle di due artificieri che spostano l’ora del ritrovamento della Renault 4 alle 11 e che indicherebbe anche la presenza dell’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga in via Caetani. Ed a quel tempo il futuro presidente della Repubblica era a capo del comitato tecnico-operativo per il coordinamento delle forze dell’ordine e dei servizi segreti. Un coordinamento che, stando a quanto scritto dalla Commissione di inchiesta parlamentare, «non ha coordinato niente». Una grave accusa mai smentita dai fatti. I giorni della detenzione del capo della Democrazia Cristiana videro anche il sorgere del Comitato informativo, la cui maggior parte degli aggregati faceva capo alla P2, cioè la loggia massonica. Il Viminale tentò di muoversi con un «gruppo di crisi»: il progetto era quello di attivare canali verso Cosa Nostra per capire il luogo dove era tenuto ostaggio il leader.

Francesco Biscione, consulente della commissione stragi della XII legislatura parlò di «mobilitazione di parata poco utile agli sviluppi delle indagini»: anche perché nel frattempo si era resa concreta la spaccatura tra le forze armate e quelle politiche di coordinamento. 

I cinquantacinque giorni del 1978 furono un susseguirsi di errori politici e militari: di perquisizioni non finite, di messaggi non captati. Si pensava forse ad uno scambio di prigionieri? Era quello che tentava di suggerire lo statista? Rientrò poi nei piani delle Br?

Certo è che la politica, quella parlamentare si divise anche sull’azione: chi per la linea dura, il non cedere di fronte le richieste di terroristi, e i fautori del «compromesso», della trattativa. Una sorta di seguito della politica attivata dallo stesso Moro cui infatti risposero solo i fedelissimi, i cattolici, la sinistra rivoluzionaria e il Psi. 

Moro comprese, seppur in prigione, la grave situazione di crisi ed ammonì il suo partito: «Io ci sarò ancora come punto irriducibile di contestazione e di alternativa, per impedire che della Dc si faccia quello che se ne fa oggi». E fu proprio Moro ad identificare in Andreotti «il responsabile dell’irrimediabilità della mia situazione. [Andreotti agisce] con il proposito di sacrificare senza scrupolo quegli che è stato il patrono ed il realizzatore degli attuali accordi di governo».

Lo stesso Moro, intuendo di non riuscire a sbloccare la situazione politica, tentò il coinvolgimento del mondo cattolico. Scrisse una lettera a Paolo VI, recapitata il 20 aprile 1978, perché intercedesse per uno scambio di prigionieri. Il pontefice rispose con un messaggio pubblico alle Br parlando di un’azione «senza condizioni». Moro interpretò questo, stando al memoriale, come appoggio della linea dura. Secondo Corrado Guerzoni, esponente Dc vicino a Moro, fu Andreotti ad aggiungere questo passaggio; tesi poi smentita dall’ex segretario del Papa Pasquale Macchi. Al grido di aiuto di Montini però fece eco il silenzio assoluto di Leone: il presidente della Repubblica non proferì parola in soccorso al suo onorevole parlamentare. 

In quei giorni di terrore la stampa analizzava i comunicati delle Br, le missive di Moro. E uno spiraglio di movimento apparve con Fanfani, intenzionato a portare alla direzione della Dc la possibilità di una mossa unilaterale dello Stato. La riunione era in programma il 9 maggio. Mentre erano in corso i lavori di discussione giunse la notizia del ritrovamento: un duro colpo per lo Stato italiano, una sconfitta per la democrazia, un’occasione persa per la politica. E fu l’inizio di quello che ancora oggi è «L’affaire Moro»: un gioco di silenzi, di sottintesi, di segreti svelati a metà. Il compromesso di Moro avrebbe cambiato la storia della politica italiana? Senza dubbio. La formazione intellettuale e politica dello statista non permetteva inganni.

Un gioco di Stato di cui forse, ora con le nuove aperture di inchiesta avviate dal parlamento, si potrà ricominciare a scavare alla ricerca della verità. 

 

Pubblicato in Cronaca Emilia
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