Di Francesca Dallatana Parma, 5 ottobre 2025 -
Il lavoro è un diritto. Scrivere di lavoro serve a conoscerlo e ad allontanarsi per osservarlo in modo obiettivo. Ne ha diritto chi ha messo mani e occhi nel retro-bottega del lavoro, la zona grigia che si tende a non vedere e a non dire. Gli autori dei “Cento lavoro orrendi” e delle “Storie infernali dal mondo del lavoro” sono i lavoratori meno visibili. Sono quelli che fanno lavori che non si dicono. Tanto brutti e sporchi da rendere le dipendenze da sostanze necessarie alla sopravvivenza. La rivista inglese “The Idler” per anni ha pubblicato una rubrica nella quale i lavoratori potevano raccontare la loro esperienza e condizione. Dan Kieran, lui stesso esperto di lavori orrendi prima di diventare il direttore del magazine, ha raccolto cento storie in penombra. Einaudi le ha pubblicate in Italia quasi vent’anni fa. Il tempo non ne ha sbiadito l’attualità. Dan Kieran non è l’autore del libro, ma il curatore. Sensibile al tema e osservatore attento del fenomeno, probabilmente per le esperienze precedenti alla direzione di “The Idler.”
Chiavi di lettura.
Cercare parole chiave e criteri di classificazione è facile. In teoria. Basterebbe procedere per settori oppure per tipologia di mansione. Giornalisti e assistenti alla redazione: almeno due storie. Settore pulizie: è forse uno dei più gettonati. Pulire gli escrementi della società è il lavoro che non si vuole fare e ha declinazioni davvero inquietanti: il campeggio, una nave da crociera nel mare del nord, una fabbrica in dismissione con prodotti chimici e alimentari da smaltire e diventati tossici. La manutenzione degli ambienti: dipingere un quadrato di bagno cieco e con il soffitto basso con la vernice per le strisce pedonali assicura sballo da Lsd e poche sterline. Settore alimentare: un ambiente freddo nel quale si taglia la testa ai pesci, dove il gelo entra nelle ossa e le ossa si irrigidiscono a un punto tale da rischiare la rottura. Fabbriche di lavorazione del pesce oppure fabbriche di lavorazione delle carni: stesso ambiente, stesso odore di metallo della morte violenta inferta agli animali che si diffonde attraverso il sangue, fino all’ultima goccia, e le membra sventrate. Il lavoro con i morti: il becchino, i truccatori, gli operatori che si occupano della fine. L’istituzione totale dei cani, cioè il canile: l’autore della lettera al giornale aveva dichiarato di non amare gli animali per non fare i lavori sporchi e viene assegnato al magazzino che si rivela peggiore del tappeto di escrementi da ripulire. I lavoratori-autori delle brevi cento storie sono gli ultimi. Sono quelli che sono arrivati all’ultimo buco della cintura. Devono accettare quello che capita. Lavori sottopagati e al limite della sopportazione, tutti.
Violenza e forza del gruppo.
Non sempre è positiva la forza del gruppo. Spesso la forza del gruppo si trasforma in violenza. Quasi sempre i gruppi di lavoro sono obbligati. Non si scelgono i compagni di squadra. Quelli del libro sono caratterizzati da una solidarietà disperata. A permettere di reggere il ritmo del lavoro, ma soprattutto la tipologia dei lavoro, spesso sono le dipendenze. Le poche sterline guadagnate finiscono nelle bottiglie serali: birre a poco prezzo bevute in solitudine oppure in piedi al bancone del bar insieme al collega nel silenzio dell’incredulità. La rabbia si sostituisce alla motivazione e diventa il motore del lavoro. I lavori degli ultimi non sono esenti da competizione. E’ un meccanismo che si innesca automaticamente. E’ una partita che sferra colpi bassi. E’ una gara verso il punto più profondo del disagio. Fra le diverse storie una scena è particolarmente significativa: è la descrizione del ritorno sul mezzo aziendale di un gruppo di venditori porta a porta. A chi ha venduto meno è riservato il seggiolino in prima fila, il più scomodo e il più piccolo, mentre nelle postazioni posteriori siedono i venditori più brillanti. In gruppo e in coro i colleghi intonano le canzoni del dileggio rivolte al collega obbligato al seggiolino della vergogna. E’ una immagine ad effetto cinematografico resa con grande forza emotiva dall’autore della breve storia di lavoro affidata alle colonne del giornale. Altre significative esperienze di lavoro in gruppo si alternano fra le storie raccolte dal libro. Non poteva mancare il corso dedicato al “team building”, con le richieste incredibili, inutili e spesso umilianti dei formatori rivolti a un gruppo di candidati in attesa di occupazione. “Prima mi toccò saltare su una grande palla di gomma con una maniglia mezza rotta e attraversare con quella un sentiero scavato nel fango. Poi fu la volta dei palloncini riempiti d’acqua al buio. Poi ancora dovetti affrontare la corsa con l’uovo su un cucchiaio e con una pallina da ping pong in equilibrio sulla racchetta.” E il racconto continua con altre richieste incredibili fino a che l’allieva si scusa per una breve assenza per allontanarsi definitivamente dal gruppo. Ad ogni storia il curatore assegna un’etichetta: disgustoso, immorale, umiliante, alienante, inutile. Il corso di team building è classificato come umiliante. Non sempre la forza del gruppo è di segno positivo.
Il lavoro degli ultimi
La maggior parte dei lavori raccontati nelle brevi cronache raccolte sono professioni alle quali ci si candida quotidianamente. Tutti si pongono nella ampia cornice della società attuale ispirata al consumo e allo spreco. Una società intrisa di competitività inutile e feroce, ispirata dall’apparenza e caratterizzata dalla negazione dello strisciante e contagioso disagio sociale. Le testimonianze raccolte sono datate. Ma vent’anni sono davvero pochi e, nonostante la corsa delle tecnologie, le tipologie di lavoro descritte continuano ad essere attuali. Le macchine ancora non hanno sostituito il lavoro degli ultimi, diventato arena di confronto al ribasso e di dumping sociale. I lavori dai contenuti umilianti e alienanti e disgustosi mettono in fila colleghi lividi di rabbia latente e demotivazione manifesta. La socialità è un fuoco di fila di scudisciate di pericolosa inquietudine e aggressività canalizzata nelle azioni di lavoro. Il posto di lavoro si trasforma a tratti nel setting di un sociodramma dove si cerca rendere più leggera la condizione umana. Gruppi umani in movimento alla ricerca di un riscatto, rallentati dal fango di una palude infida. La sequenza dei centro brevi racconti di lavoro è la fotografia del mondo occidentale del lavoro. Gli ultimi non hanno alcunché da perdere e per questo motivo possono permettersi di dire le cose e di firmare le loro testimonianze con nome e cognome. E possono permettersi di andarsene. Anche se finire davanti alla scrivania degli assistenti sociali non migliora la loro condizione. I lavoratori descrivono la quotidianità dei lavori e tracciano l’enorme differenza tra le promesse e la realtà. Ancora e sempre, scrittura come riparazione. E strumento fondamentale per la costruzione di una società più consapevole e rispettosa.
Dan Kieran (a cura di), Cento lavori orrendi. Storie infernali dal mondo del lavoro, Einaudi, Torino, 2007

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