Di Francesca Dallatana Parma, 21 settembre 2025 -
Extraterritoriale e fuori dal tempo. E’ la caratteristica principale del lavoro e della vita sulle “Fabbriche galleggianti”, alle quali Devi Sacchetto ha dedicato un puntuale reportage di ispirazione sociologica pubblicato da Jaca Book, nel 2009. La datazione è importante nella descrizione della “solitudine e sfruttamento dei nuovi marinai”, perché le relazioni geopolitiche sono cambiate nel corso degli ultimi decenni. Ma i trasporti rimangono il mezzo che rende possibile la globalizzazione. Nonostante alcuni porti, come quello di Odessa, siano ora condizionati dalle mutate relazioni di forza internazionale. Ma il libro rimane una testimonianza di grande valore, per la fotografia poco nota ai più delle condizioni di lavoro e di vita della gente di mare. L’autore riporta contributi di testimoni significativi, provenienti da diversi Paesi del mondo. Che descrivono la loro esperienza nello spazio segregato delle navi e il loro rapporto con il tempo apparentemente fermo del mare, nella fissità della linea dell’orizzonte.
Istituzione totale.
Separati dalla società, rinchiusi in un ambiente e sotto un’unica autorità: è la definizione della vita di una istituzione totale. A separare la gente di mare dalla società è il mare. Devi Sacchetto più di una volta cita Erving Goffman, sociologo americano autore di “Asylum. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza", ma anche di “Stigma”. Sulla nave la solitudine è una condizione inequivocabile, nonostante lo spazio ristretto. Interessante l’affondo sulla comunicazione tra i lavoratori, provenienti da Paesi diversi, non necessariamente dal Paese del quale batte bandiera la nave. La diffusione di un inglese essenziale, composto da un numero limitato di termini tecnici, garantisce lo scambio di informazioni per portare a termine le azioni di lavoro e riduce le relazioni sociali ai minimi termini. La socialità detersa dalla convivialità difficilmente si avventura in discussioni inutili. “La comunicazione a bordo rimane discreta e avviene sempre all’interno di gruppi ristretti. Ognuno si mantiene riservato per preservarsi dai rischi che una discussione potrebbe riservare. La nave è un luogo nel quale a ciascuno è spesso concesso un momento di intimità incontrastata, come è ugualmente garantito il diritto al silenzio. Viene così limitato il rischio di una relazione amicale, che turbi i rapporti gerarchici necessari all’esecuzione immediata degli ordini.” Il comandante è l’autorità unica e rappresenta l’armatore. La credibilità del comandante è fondamentale per il mantenimento dell’equilibrio e della sicurezza sulla nave. Il gruppo di lavoro è obbligato, cioè scelto da altri. Come avviene nelle fabbriche. La disciplina regola la vita a bordo della gente di mare, anche se non è così rigorosa come quella nelle carceri, nei dormitori, nelle caserme, come era nei manicomi. Non ci si dà del tu fra ufficiali, generalmente. Ma ci si chiama per cognome anticipando la qualifica oppure il grado. Si ribadiscono, spesso, le distanze sociali e di ruolo e lo stile di comando rimane piuttosto rigido. E’ quanto emerge dalle testimonianze raccolte dal sociologo Devi Sacchetto. Nei porti ci si ferma sempre meno, per i costi dovuti alle privatizzazioni e per le manutenzioni che sempre di più si affrontano durante la navigazione. L’autore parla di “ferratura del cavallo in corsa”, per abbattere i costi e i tempi dell’attracco. L’illusione letteraria della vita da marinaio al porto è superata dalla realtà dei costi. Anche se diverse testimonianze descrivono frenesie degli attracchi: Odessa è uno dei porti maggiormente citati per colore e per possibilità di socializzazioni diverse, in epoca lontana da quella attuale. Il porto è quasi un miraggio per i naviganti. Mentre le condizioni di lavoro e le possibilità salariali somigliano sempre di più a quelle del lavoro precario e frammentato della terraferma.
Contratto di arruolamento.
Si chiama così il contratto di lavoro della gente di mare. “Il marinaio, diversamente dagli altri lavoratori, quando cede la sua forza lavoro vende quasi completamente se stesso per un tempo più o meno definito, misurato in mesi più che in ore o giornate lavorative. Una volta imbarcato, non gli è più possibile né sbattere la porta e andarsene, né cambiare la propria occupazioni nel caso in cui le condizioni non lo soddisfino, almeno fino a quando raggiunga un porto dove sia in grado di reperire un’altra occupazione o comunque gli sia concesso di scendere a terra.” Impossibile andarsene dal mare. La durata dei contratti dipende da diverse variabili: nazionalità, grado, armatore, tipo di nave, agenzia di reclutamento. Chi viene da Paesi a basso salario preferisce contratti di lunga durata. I marinai provenienti dall’Europa occidentale prediligono contratti di breve durata. Il reclutamento avviene nei porti. E non è obsoleto il riferimento alla black list nella quale vengono indicati i lavoratori marittimi che si rivolgono alle organizzazioni di tutela sindacale per rivendicare corretto riconoscimento della retribuzione e tutele di sicurezza. Le forme di discriminazione si avvicinano a quelle della terraferma: “La forza lavoro comune avverte i quaranta anni come un’età fatale, riuscendo difficilmente a trovare un imbarco dopo tale soglia, mentre gli ufficiali – più rari da reperire – riescono a navigare fin quasi a sessanta anni”
Quante ore si lavora sulle navi e come è organizzato il lavoro? Otto ore al giorno per cinque ore settimanali, dal lunedì al venerdì con una stretta equiparazione all’organizzazione del lavoro dell’Europa occidentale. Così, il contratto collettivo di lavoro varato dall’International Transport Federation. “Ma i contratti nazionali si discostano da tale norma, mostrando una certa eterogeneità” e si profila un numero ore settimanale e mensile diverso rispetto allo standard europeo fino al arrivare a un totale di 224 ore mensile per i filippini. E’ nella natura delle cose che la disponibilità del lavoratore marittimo debba essere alta rispetto alle esigenze della navigazione dell’organizzazione. Disponibilità che si traduce in orario di lavoro dilatato rispetto alle ore ordinarie indicate sui contratti di lavoro. Sulle navi, al tempo stesso, è importante una equa suddivisione del lavoro. In ambiente confinato una seria assegnazione dei carichi di lavoro è un elemento necessario per il mantenimento dell’equilibrio e della pace sociale.
Nel corso degli anni i salari hanno registrato una certa omogeneizzazione al ribasso. La qualità del lavoro e della vita dipende anche dal materiale trasportato. A merci trasportate di basso valore corrispondono salari infimi e condizioni di permanenza discutibili. Le navi modernamente attrezzate e con carichi di alto valore solitamente sono dotate di alloggi degni di questo nome. Per le navi da crociera, fa notare l’autore, il reclutamento avviene in modo diverso: si tiene conto delle capacità relazionali dei candidati perché dovranno relazionarsi con i turisti. In navigazione e sulla nave, non a tutti è permesso di entrare in relazione e in contatto con gli ospiti della nave.
Mercato del lavoro di terra e di mare.
Stessa fatica. Senza la quotidiana socialità che permette la possibilità di cambiamento. Il mare non sembra così romantico visto dalla nave. Ma un luogo di lavoro fuori dal tempo e dallo spazio. Che trattiene i lavoratori nel limbo temporaneo di un oblio che ne compromette fortemente l’equilibrio.
Devi Sacchetto, Fabbriche galleggianti. Solitudine e sfruttamento dei nuovi marinai. Jaca Book; Milano, 2009
(immagine copertina credit Johan Spaedtke detto Spade)

(Link rubrica: La Biblioteca del lavoro e lavoro migrante ” https://gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=francesca%20dallatana&searchphrase=all&Itemid=374
https://www.gazzettadellemilia.it/component/search/?searchword=lavoro%20migrante&ordering=newest&searchphrase=exact&limit=30)
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