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Mercoledì, 07 Luglio 2021 22:54

Come è nato FIGHT CLUB e 5 cose che non sai In evidenza

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Se ci pensi bene, questa non è (solo) la storia di uomini che fanno a botte in sudici e bui scantinati. Non è la storia di lividi, di sangue, di denti scheggiati. Piuttosto è la storia del perché.


Come ti saresti immaginato Tyler Durden se non avessi mai visto il film?

Ogni volta che penso a Fight Club, questa domanda mi incalza. Mi frega, invadente.

Ci avevi mai pensato?

La domanda è lecita ma, con ogni probabilità, non c’è risposta: nel romanzo, Tyler è descritto più per le sue azioni che per il suo aspetto fisico, più per le sue parole crude che per i suoi modi.

… e diciamocelo: ormai nell’immaginario collettivo, Tyler Durden è Brad Pitt. Punto. Nessuno potrebbe impersonarlo meglio di lui.

Il motivo della domanda è ancora più lecito se pensi alla storia che lega il romanzo al film. È curiosa. Riflettici un attimo: è più probabile incontrare una persona che ancora non abbia letto il libro di Chuck Palahniuk, piuttosto che incontrarne una che non abbia visto mai il film di David Fincher.

Non penso sia questo il motivo, ma con molto fatalismo mi piace pensarlo: il libro Fight Club ha iniziato col piede sbagliato.

FightClub.png

Adesso te lo racconto: è un libro nato da un rifiuto. Chuck Palahniuk, incapace di mandare giù il “no” che aveva appena ricevuto dall’editore per la pubblicazione di Invisible Monster, scrive per protesta il romanzo Fight Club. A onor del vero non era un vero e proprio romanzo, era una serie di racconti. Siamo nel 1996. Con sua grande sorpresa, Fight Club viene pubblicato.
Ma ancora una volta, c’è di mezzo un rifiuto: quello del grande pubblico di noi lettori. Il libro ha scarso successo, non vende, non piace.

Come per molte altre cose, aspetta solo di capitare nelle mani giuste. E quindi a distanza di tre anni, nel 1999, David Fincher ne dirige con grande maestria un fedelissimo adattamento cinematografico. Giustizia è fatta.

Che il film consacri il libro è un caso piuttosto insolito, dato che è consuetudine trarre il film da acclamati best sellers di carta. Si vocifera che lo stesso Palahniuk abbia trovato il la pellicola migliore del suo stesso romanzo.

Ma non ho ancora finito con gli aneddoti.

È anche un libro nato da un pestaggio. Proprio così. Palahniuk si trova in campeggio, confinante con dei vicini eccessivamente rumorosi: dopo una accesa discussione, viene picchiato. In ufficio, nonostante gli evidenti lividi sul viso, nessun collega si preoccupa di chiedergli come si sentisse e cosa fosse successo.
Questa totale mancanza di interesse verso il prossimo ispira la trama. Ispira i gruppi di sostegno per malati terminali che frequenta il narratore, dove ogni parola potrebbe essere l’ultima e dove “la gente ti ascolta veramente invece di aspettare il suo turno per parlare”. Ispira i gruppi di combattimento clandestini il cui centro non è lo spettacolo o la violenza, non i due lottatori, ma l’uomo uno che combatte contro di sé, contro la sua vita, contro le sue ingiustizie, contro la sua vita mediocre, contro qualcosa di ignoto.

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Se ci pensi bene, questa non è (solo) la storia di uomini che fanno a botte in sudici e bui scantinati. Non è la storia di lividi, di sangue, di denti scheggiati. Piuttosto è la storia del perché.
Il narratore - alias Edward Norton - è un impiegato che subisce l’esistenza, che vive passivamente le sue non-decisioni, che si conforma alla casa perfetta, alla cravatta perfetta, al lavoro perfetto.

Tutto è la copia di una copia di una copia.

È stanco. Stremato dall’insonnia, sfinito dal continuo jet lag, stretto nelle responsabilità di cui lo ricoprono la società e il minuzioso lavoro.

Questa è la tua vita, e sta finendo un minuto alla volta.
Da qui ha inizio la drastica e mistica ribellione, che lo porta a conoscere e combattere un forte Tyler Durden. In tutti i sensi.

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5 COSE CHE (FORSE) NON SAI SU FIGHT CLUB

Nella scena in cui Edward Norton è nella caverna di ghiaccio per la meditazione guidata, il fiato che espira è quello di Leonardo di Caprio in Titanic, rielaborato graficamente.

Il numero di telefono di Marla Singer, 555-0134, verrà citato successivamente nel film Memento, come numero telefonico di Teddy.

Brad Pitt ha vietato categoricamente la visione del film ai suoi genitori. Loro non gli hanno dato ascolto e si sono gustati la pellicola in un cinema, come “normali” spettatori. Si racconta che hanno lasciato la sala alla scena della bruciatura di liscivia.

Per un look disattento e trasandato, Helena Bonham Carter ha insistito per farsi truccare dal suo make-up artist, che non è mancino, con la mano sinistra.

Il carattere utilizzato per le scritte sulle locandine originali del film è il font Fight This.

Ti è venuta voglia di rivedere il film?
Bene. Mettiti comodo, perché dovrai arrivare sino alla conclusiva Where is my mind? dei Pixies (la scelta non poteva essere più azzeccata). Fai attenzione a due dettagli: in quasi ogni scena compare una tazza Starbucks, ed Helena Bonham Carter indossa sempre scarpe piuttosto alte per compensare la differenza d’altezza con i due protagonisti.

Ci avevi già fatto caso?

 

(a cura di Giulia Orrù - parliamodilibri.it)

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