Sabato, 20 Aprile 2019 10:11

Il cliente indonesiano, una nuova avventura di Rodolfo Lapidario In evidenza

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Di Manuela Fiorini - 20 aprile 2019 -  Una mattinata intera senza che nessun cliente si fosse presentato nel suo ufficio per Rodolfo Lapidario era una buona notizia.

Gestire un'agenzia di Onoranze Funebri voleva dire avere a che fare quotidianamente con il dolore delle persone. Un sentimento a cui Lapidario, nonostante gestisse quell'attività da tantissimi anni, era ancora abituato a metà. Da un lato c'erano i parenti dei defunti, alle prese con pratiche burocratiche e preparazione delle esequie, dall'altra le anime dei defunti stessi, che Lapidario era in grado di vedere. Un "dono" che aveva ricevuto in eredità da sua nonna, a cui nessuno aveva mai creduto. Tranne lui, nel momento stesso in cui aveva cominciato, appena bambino, a vedere le stesse cose: figure eteree, evanescenti, circondate da un'aurea di luce cangiante, che spesso lo avvicinavano con richieste, o anche solo per chiacchierare o avere delucidazione sul loro nuovo status. Con il tempo, aveva imparato a mettere a frutto quella sua facoltà, cercando di venire incontro alle esigenze dei suoi clienti, vivi e...trapassati. L'estremo saluto era infatti un passaggio molto importante per chi aveva lasciato questo mondo, uno spartiacque attraverso il quale potevano lasciarsi alle spalle la vita terrena, passare oltre e iniziare un'evoluzione spirituale. Per questo era importante che nulla rimanesse irrisolto: rimpianti, rancori, parole non dette...persino le ultime volontà e la modalità delle esequie.

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Il campanello che aveva appeso alla porta di ingresso tintinnò annunciandogli l'arrivo di qualcuno. Si trovò di fronte un uomo piccolo piccolo, scuro di pelle e di capelli, con gli occhi all'orientale e il naso un po' schiacciato. Insieme a lui c'era una donna anziana, che dalla similitudine dei lineamenti doveva senz'altro essere sua madre. L'uomo congiunse le mani all'altezza del petto e fece un inchino in segno di saluto, la donna fece altrettanto.

"Mi chiamo Agung...e questa è mia madre Ayu..."
La donna sorrideva, ma era evidente che non capiva una parola d'Italiano.
"È appena arrivata dall'Indonesia, per aiutare mia moglie con il bambino che sta per arrivare..."
La donna continuava a sorridere...
"...Io invece sono qui da qualche anno, lavoro in fabbrica, mia moglie lavora in fabbrica...così noi abbiamo comprato casa più grande per stare tutti insieme. Con mia madre è arrivato anche mio padre..."
Rodolfo Lapidario ascoltava con pazienza. L'uomo sarebbe presto arrivato a un punto della narrazione che gli avrebbe consentito di capire il perché si stava rivolgendo a un'agenzia di Onoranze Funebri.
"Noi volevamo chiedere quanto poteva venire a costare una grotta di pietra in giardino per fare casa a mio padre..."
Lapidario ebbe un sussulto.
"Mi faccia capire...suo padre vuole vivere nel giardino di casa sua?"
"Mio padre non può vivere in casa con noi, mio padre è...morto".

Madre e figlio si lanciarono uno sguardo d'intesa e di amore. Lapidario non percepì, tuttavia, il dolore che di solito segue la recente perdita di una persona cara. Era come se il lutto fosse già stato superato.
"Quindi, mi sta dicendo che suo padre è deceduto...e vuole organizzare il funerale?".
"No! Il funerale glielo abbiamo fatto dieci anni fa...quando è venuto a mancare!"

L'italiano elementare dell'uomo non lo aiutava a capire la situazione.
"Mi scusi...dove si trova suo padre, ora?"
"Lui è qui fuori, nel mio furgone! È arrivato con mamma in aereo. Ha viaggiato nella stiva!"

L'uomo continuava a sorridere, mentre Lapidario era sempre più sconcertato. Cominciò a mettere insieme i pezzi. Probabilmente, dopo essere emigrato e aver trovato lavoro in Italia, Agung aveva optato per il ricongiungimento familiare, facendo arrivare dall'Indonesia la madre, viva, e il padre, morto da dieci anni. Solo che gli stava chiedendo di seppellirlo in giardino. E la cosa non era assolutamente fattibile!

"Ascolti, qui i morti non si possono seppellire nei giardini delle case, e nemmeno nelle grotte...devono riposare in pace, nei cimiteri".
"So che cosa sono i cimiteri, ma le tombe vengono chiuse per bene, murate...in questo modo non si possono tirare fuori i propri cari per festeggiare insieme Ma'Nene..."

Al suono di quella parola, l'anziana madre annuì...
"Siamo originari di Tana Toraja", continuò l'uomo, "Noi mummifichiamo i nostri cari defunti, li mettiamo a riposare nelle grotte, e ogni anno li riesumiamo, li vestiamo a festa con abiti nuovi, mangiamo, beviamo, balliamo insieme per Ma' Nene...tutto questo non sarebbe possibile se mettessi mio padre in uno dei cimiteri di qui".

Lapidario si ricordò di avere visto un servizio televisivo su quella tradizione. Tuttavia, si rese conto che questa volta non poteva proprio accontentare i suoi clienti. Doveva solo trovare il modo per farglielo capire.

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Lanciò un'occhiata fuori dalla vetrina dell'agenzia e vide un vigile che si stava aggirando con fare sospetto attorno al furgone bianco di proprietà dell'indonesiano. Un brivido gli corse lungo la schiena immaginando la faccia dell'agente nel caso avesse aperto il mezzo e si fosse trovato di fronte alla mummia del padre di Agung. Si scusò con madre e figlio e uscì in strada.

"Qualcosa non va agente?"
"È suo questo furgone?"
"No, di un mio...fornitore. Mi ha appena consegnato...dei fiori per un funerale".
"Va bene. Gli ricordi di esporre il disco orario per il "carico e scarico" e di rispettare i tempi della sosta".

Lapidario tirò un sospiro di sollievo e tornò dentro.
"Ascolti, Agung...qui, non è legale seppellire i defunti in una grotta in giardino...e nemmeno riesumarli..."

La donna anziana lo guardò interrogativa. Il figlio tradusse per lei e la vedova scoppiò a piangere.
"Mia madre non potrebbe sopportare di vivere lontano da mio padre. Al villaggio gli portava fiori e frutta alla grotta tutti i giorni".
"Lasciatemi pensare...nel frattempo...siate discreti con...il capofamiglia. Almeno finché non troveremo insieme una soluzione..."
Appena la coppia uscì, Lapidario si mise le mani nei capelli. Poi si mise a fissare il soffitto. Che cosa poteva inventarsi questa volta per convincere quei due? Solo allora si rese conto che la temperatura della stanza era scesa in maniera repentina. Seduto di fronte alla sua scrivania c'era la figura evanescente di un uomo molto simile al "vivente" che era uscito poco prima.

Si fissarono per un istante, entrambi sospesi tra il panico e lo stupore.

"Come fai a essere...ancora qui?", domandò Lapidario. Da quello che gli era stato raccontato, il defunto aveva abbandonato la sua dimensione terrena da dieci anni. E il suo spirito avrebbe dovuto passare alla dimensione spirituale da diverso tempo. Eppure, ora era lì, davanti ai suoi occhi, forse richiamato dalla presenza del figlio e della moglie, oppure dalle sue spoglie mortali. Di solito, tuttavia, gli spiriti non tornavano, semplicemente, chi era ancora sulla Terra dopo tanto tempo...non se ne era mai andato.
Dopo quell'attimo comune di sbigottimento, la figura gli rivolse la parola in una lingua che Lapidario non conosceva. Indonesiano. O qualche dialetto della provincia di Tana Toraja, ancora più difficile da capire. Chissà che cosa gli stava dicendo? Che voleva essere sepolto in giardino per stare insieme ai suoi cari ed essere riesumato per festeggiare insieme il culto dei defunti o qualcos'altro? Lapidario tentò di fargli capire a gesti che lo vedeva, ma non capiva la sua lingua. Lo spirito scosse il capo desolato, poi cominciò a battere i piedi stizzito, fino a colpire il muro a testate.
Lapidario tentò di calmarlo, cercando di fargli capire che, con un po' di pazienza, potevano tentare di capirsi a gesti. L'entità, che continuava a proferire probabili improperi in indonesiano, iniziò a indicare in alto, simulando con la mano il passaggio di un aereo e scuotendo il capo in segno di diniego. Chiuse poi gli occhi e appoggiò la testa con le mani. Lapidario comprese. Quell'anima voleva essere lasciata in pace, era già in ritardo nel suo percorso spirituale, trattenuto per dieci anni dall'attaccamento dei suoi cari al suo involucro terreno. Se loro non erano in grado di staccarsi da lui, nemmeno lui sarebbe stato libero di staccarsi da loro. Doveva solo farsi venire una buona idea per comunicare alla famiglia la volontà del defunto. Quella sera si ricordò di sua nonna, dalla quale aveva ereditato la facoltà di interagire con le anime dei trapassati, e di quel vecchio registratore a cassette.

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Il mattino dopo, Agung e sua madre tornarono all'agenzia di Onoranze Funebri. Lapidario li aveva convocati nella speranza che il suo piano per convincerli a dare al congiunto una degna sepoltura avrebbe dato i risultati sperati. Accanto a lui, lo spirito scalpitava e dava segni di impazienza, inveendo in indonesiano all'indirizzo della moglie e del figlio. Lapidario prese il vecchio registratore a cassette e lo mise sulla scrivania, di fronte ai due.

"Vorrei farvi ascoltare una cosa...", disse, incrociando le dita.
I due si misero in attesa. Spinse il tasto di avvio e dal vecchio apparecchio cominciarono a uscire dei fruscii... A un tratto, si udì distintamente una frase pronunciata da una voce maschile. Lapidario non ne comprese il significato, ma la vedova scoppiò in un pianto dirotto, subito consolata dal figlio. Il registratore tornò muto.

"È sicuramente la voce di mio padre...vuole essere lasciato andare...", disse il giovane Agung. "Come ha fatto a..."
Lapidario non aveva mai confessato a nessuno il suo "piccolo" segreto. Tuttavia, ebbe l'impressione che, questa volta, non lo avrebbero preso per matto.

"Riesco a vederli...ho parlato con lui. Ma non riuscivo a capirlo...così mi sono ricordato di una vecchia registrazione che mi aveva fatto ascoltare mia nonna. La chiamava "la voce dei morti". Così ho fatto un tentativo. Gli ho chiesto di rivolgersi direttamente a voi, nella vostra lingua, e di dirvi qual era la sua volontà".

"Mio padre...non voleva nemmeno lasciare il suo villaggio...", constatò Agung con rammarico. "Sarò fatto come lui desidera. Sarà sepolto in un cimitero, dove potremo andarlo a trovare tutte le volte che vorremmo. Avrà il suo piccolo altare in casa nostra. E resterà sempre nei nostri cuori".

Così fu. E quando tutto fu compiuto, Rodolfo Lapidario vide la figura di Adi congiungere le mani al petto e salutarlo con un inchino, prima di sparire nella luce.

 

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