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La Gilda degli Insegnanti ha rilevato la mancata concertazione con le parti sociali prevista dalla legge, a seguito dello scontro che sta interessando l'Istituto Comprensivo di Corniglio, relativamente al futuro dei plessi della scuola di 1° grado di Palanzano e Monchio delle Corti -

Parma, 17 settembre 2014 -

La Gilda degli Insegnanti a seguito dello scontro dal sapore campanilistico che sta interessando l'Istituto Comprensivo di Corniglio, relativamente al futuro dei plessi della scuola di 1° grado (ex medie) di Palanzano e Monchio delle Corti, con una lettera inviata ai sindaci dei due comuni, al dirigente scolastico e per conoscenza al dirigente dell'Ambito Territoriale Scolastico, ha formalmente rilevato che la legge regionale che regola la programmazione territoriale dell'offerta formativa, prevede che sia obbligatoria la concertazione con le parti sociali. Procedura che le amministrazioni interessate fino ad oggi non hanno seguito, almeno nei confronti delle rappresentanze firmatarie del contratto di categoria dei docenti e del restante personale scolastico.

La Federazione Gilda Unams rilevando che di fronte all'impossibilità della politica locale di decidere, ledendo così non solo i diritti degli studenti ma anche del personale scolastico, docente e non, che deve avere un'assegnazione certa e non "provvisoria", ha proposto che i comuni interessati demandino le decisioni da adottare al Collegio dei Docenti, organo per legge deputato ad individuare un'organizzazione didattica ottimale rispetto alle specifiche esigenze ambientali. Salvatore Pizzo, coordinatore provinciale della Gilda Unams, precisa: "Affidarsi al corpo docente che riveste un ruolo di centralità nelle situazioni scolastiche è quanto di meglio si possa fare in una situazione del genere, la politica locale come quella nazionale quando si occupa di istruzione dimentica spesso gli insegnanti e le loro rappresentanze di categoria, come se la scuola la facessero altri".

(Fonte: ufficio stampa Gilda Unams Insegnanti Parma)

Settant’anni fa furono uccisi dai nazisti ventitré civili e il parroco. In un film documentario nuove testimonianze sulla strage, oltre a quelle raccolte  dal dopoguerra  -

 

Villa Minozzo, 25 marzo 2014 -

“A settant’anni dalla strage di Cervarolo, avvenuta il 20 marzo 1944 ad opera dei nazisti, in cui furono uccisi ventitré civili e il parroco, don Battista Pigozzi, ospiteremo la prima del documentario che ricorda quella tragedia”: così il sindaco Luigi Fiocchi presenta “E vennero da lontano”, il filmato di Riccardo Stefani, regista, e Sabrina Guigli, che sarà proiettato sabato sera, alle 21, nel teatro I Mantellini.

“Il tema principale del film documentario  - spiega il primo cittadino - è la ricostruzione, in chiave storica,  dell’eccidio di Cervarolo e di quello di Monchio, in comune di Palagano, nel modenese, dove l’opera è stata vista in anteprima nei giorni scorsi. La pellicola è la prosecuzione e l’approfondimento dell’argomento già affrontato nel film  ‘Sopra le nuvole’, realizzato dagli stessi autori nel 2008”.  

 

rid Riccardo Stefani dietro la macchina e un attore

 

Il paese di Cervarolo è “tra le ‘città’ - prosegue Luigi Fiocchi - decorate al valor militare per la guerra di liberazione, insignito della medaglia di bronzo, mentre il comune è stato fregiato della medaglia d’argento, a conferma delle sofferenze e del tributo di sangue pagato dalla nostra gente per la libertà e la democrazia”. 

Conclude il sindaco Fiocchi: “Il verdetto di condanna per i responsabili di quella strage è stato emesso solo tre anni fa, ma dal dopoguerra ad oggi sono state diverse le testimonianze scritte, tra cui le pubblicazioni ‘Raffiche di mitra in montagna’ di Umberto Monti (1946) e ‘Morte sull’aia’ di Pietro Alberghi (1964). Il documentario che vedremo nella serata di sabato, assieme al film di sei anni fa, basati entrambi, oltre che sui documenti storici, sui racconti dei sopravvissuti dei due eccidi (e per la cui produzione ci si è anche avvalsi di numerose comparse locali), vanno ad arricchire il ricordo di tragici avvenimenti che dovranno rimanere sempre a monito delle generazioni future”.

Si legge, fra l’altro, in una nota di presentazione del filmato “E vennero da lontano”, i cui protagonisti sono  “il territorio, la sua gente e la sua cultura”: “Lo spettatore verrà coinvolto nelle paure, nelle emozioni  e nei sentimenti di chi, in prima persona, ha vissuto quei momenti”. 

 

(Fonte: ufficio stampa Comune di Villa Minozzo)

 

Le ricerche degli uomini del Soccorso alpino sono iniziate ieri verso sera nella zona sciistica di Pratospilla: ritrovato sul Monte Bocco -

Parma, 12 febbraio 2014 -

Intense le ricerche condotte nella tarda serata di ieri dagli uomini del Soccorso alpino alla ricerca di un giovane disperso nella zona sciistica di Pratospilla, nel comune di Monchio delle Corti, a circa 1.350 metri di altitudine. L'Ansa riporta che l' escursionista, un 34enne di Langhirano, era andato a togliere alcune segnalazioni per una gara di scialpinismo annullata nei giorni scorsi per maltempo. Perdendo l'orientamento a causa di una fitta nebbia e di una nevicata, si è ritrovato sul versante opposto, quello toscano, del Monte Bocco ed ha chiamato il 118. E' stato ritrovato fortunatamente in buone condizioni di salute, attorno alle 23 di ieri sera.

 

Pubblicato in Cronaca Emilia
Giovedì, 07 Novembre 2013 15:15

Centrali a cippato, zero vantaggi

Rete Ambiente Parma rivela i rischi di inquinamento per la nostra montagna dovuti alle centrali termiche, che tra costruite o approvate ed in costruzione, sono ormai 8 -
 
Parma, 7 novembre 2013
 
Milioni di euro di fondi FAS, di finanziamenti Regionali, di finanziamenti Provinciali e di debiti, contratti dai comuni stessi, sono andati ad alimentare l'industria dei combustori e dei cogeneratori, senza creare alcun posto di lavoro in montagna e senza contribuire a ricostruirvi un tessuto economico.
Soldi sottratti alla ristrutturazione dei borghi per il risparmio energetico, unico vero volano di lavoro per la ripresa dell'edilizia e del turismo.
Gli amministratori sostengono che una centrale termica a cippato inquina meno di tante stufe, in quanto la combustione è ottimizzata e i fumi vengono trattati prima di essere emessi in atmosfera.
Non è vero.
Forse lo era per vecchie stufe e camini aperti, ma in montagna oggi si usano stufe a pellet o miste pellet-legna di moderna concezione e basse emissioni.
Una stufa a pellet da 20Kw di potenza costa 1900 euro, detraibili dalle tasse al 55% e scalda 150 m2 con poco più di 1000 euro in un anno.
Si chieda al comune di Palanzano che, dopo aver provato il cippato, nella centrale (700 Kw di potenza) è passato a bruciare pellet per non avere le emissioni e i quantitativi di cenere di prima.
Non si dice che, mentre il combustibile delle stufe in montagna è legna stagionata due anni, quello della centrale termica è cippato fresco di sfalci di bosco.
Il cippato, che appena tagliato ha un'umidità del 50-60%, viene commercializzato fresco con umidità del 35-40% (potere calorifico indicativo di 2.500 kcal/kg, corrispondenti a 2 Kw/Kg, e con un elevato tenore di corteccia perché da cippatura di ramaglie o di piante di piccola taglia. Paradossalmente dà meno cenere ed inquinanti la stufa che non la centrale, la quale arriva fino al 3% di ceneri pesanti.
Non si dice, altresì, che quel tipo di centrali termiche (fino ad 1 Mw) hanno come unico sistema di filtraggio il multiciclone, che abbatte solo la fuliggine, cioè la cenere volante, quella più leggera, ma non gli inquinanti.
Lo stesso Francescato, direttore di AIEL (azienda italiana energia dal legno) afferma che nel caso di impiego di pellet e legna idonei, pellet di qualità certificata e legna con contenuto idrico
M<20%, cioè legna stagionata due anni, l'emissione di particolato si attesta su circa 45 mg/Nm3.
Mentre col solo multiciclone si hanno emissioni effettive di polveri tra i 75 e i 150 mg/Nm3.
Questo perché, in pratica, tali centrali termiche non hanno un sistema di depurazione fumi.
Il multiciclone di cui sono dotate, per intenderci, non abbatte neanche i PM 10.
Ci sarebbe bisogno di un filtro a maniche o ancor meglio di un filtro elettrostatico, capace di abbattere polveri fino ai PM 2,5.
Ma le PM 1 e quelle ancora più fini non le abbatte nessun filtro.
Le emissioni di elevate quantità di polveri ultra sottili sono il principale problema dei biocombustibili solidi.
Ma una volta che una centrale termica sopra i 500 Kw di potenza è impiantata è difficile che un'amministrazione non le applichi una turbina per produrre elettricità ed intascare gli incentivi.
Gli incentivi sono commisurati ai kWh elettrici prodotti e questo criterio – valido per gli impianti eolici, fotovoltaici, idraulici – è inadeguato e controproducente nel caso delle biomasse.
Perché le biomasse non sono solo energia grezza trasformabile in elettricità, come quella del vento, ma sono la totalità delle sostanze vegetali, con infiniti usi e funzioni, sempre con ricadute energetiche ed ambientali.
Qualche amministratore gioca sulla convinzione sballata che la combustione della legna provochi solo l'emissione di vapore acqueo e poco altro.
Sbagliato.
La combustione di biomasse legnose provoca emissioni di vapore acqueo e CO2, ma soprattutto di sostanze pericolose come monossido di carbonio (tossico), ossidi di azoto (tossici, irritanti) idrocarburi (cancerogeni), e particolato (le poveri a diversa granulometria) composto fondamentalmente da metalli e residui inorganici che adsorbono e trasportano diossine e furani.
I metalli ambientalmente più pericolosi (piombo, zinco, cadmio) finiscono nelle ceneri volanti e sono maggiori nelle ceneri di corteccia.
Per poter essere usato come fertilizzante, il contenuto di metalli pesanti non deve oltrepassare certi valori della cenere derivante dalla combustione di legna allo stato naturale. La cenere raccolta nei cicloni di impianti funzionanti con cippato di legna già supera i limiti indicati e non può essere utilizzata come ammendante.
La legna, nella categoria «biomasse», è stata inclusa nella lista Ue di energie rinnovabili a bassa emissione di Co2 presumendo che la Co2 prodotta dalla sua combustione sia compensata dalla Co2 catturata dagli alberi cresciuti al posto di quelli tagliati.
In realtà bruciare la legna è a basse emissioni di CO2 solo a certe condizioni, a seconda della velocità di crescita degli alberi.
Ma la pubblicistica scientifica del settore forestale afferma che un bosco ceduo sottoposto a taglio recupera la stessa capacità di catturare CO2 precedente il taglio solo dopo circa tre anni.
Secondo l'Agenzia europea per l'ambiente, supporre «che la combustione di biomasse sarebbe intrinsecamente a emissioni zero ignora il fatto che usare il terreno per produrre piante per l'energia significa che questo terreno non sta producendo le piante per altri scopi, compresa la
cattura di Co2».
L'Ue, con le centrali a legna, ha creato un incentivo che costa molto, probabilmente non riduce le emissioni e non stimola neppure l'adozione di nuove tecnologie energetiche.
Perché allora nella nostra provincia ed in tutto l'Appennino Tosco-Emiliano stanno sorgendo come funghi centrali termiche a cippato?
Il motivo è semplice: una volta impiantate le centrali, le amministrazioni si chiederanno perché non utilizzarle anche per produrre elettricità ed intascare incentivi, come ha già fatto il comune di Monchio.
Ci racconteranno che visto che ormai ci sono, varrà la pena farci un po' di soldi anche se, visto il ridicolo rendimento (a Monchio è del 10%, detto dal sindaco), occorrerà bruciarne dieci volte tanto e tagliare ancor più i boschi, già rimaneggiati dalla speculazione sulla legna da ardere.
Questo il progetto per il futuro che ci prospettano amministrazioni e governo: produrre elettricità bruciando i boschi.
Peccato che le ceneri non si mangino né si respirino.
 
Giuliano Serioli
 
(Fonte: ufficio stampa Rete Ambiente Parma)
Venerdì, 25 Ottobre 2013 16:47

Il volto sfigurato della montagna

Parma, 25 ottobre 2013
 
Il comunicato di Rete Ambiente Parma su tagli boschivi e centrali a biomassa -

Il paesaggio della nostra montagna cambia in peggio.

E comincia ad allarmare.

Boschi come groviere, strade sfondate dai camion che portano via legna, frane, interruzioni di strade, sempre meno turisti e sempre meno gente nei paesi.

E' un fuggi fuggi con gli ultimi scampoli di malloppo.

Non si tratta più di autoconsumo di legna, come la burocrazia si ostina ancora a identificare i tagli selvaggi che possiamo osservare senza particolari ricerche.

Il fabbisogno della gente di montagna è irrisorio rispetto a quanto tagliato.

Siamo davanti ad un taglio industriale vero e proprio, ad una vera e propria speculazione economica.

Con ben pochi soldi che restano in montagna.

La gran parte va a chi commercia legna in pedemontana.

Altri vanno ai proprietari dei boschi, in gran parte da tempo residenti in città.

Altri ancora vanno a remunerare l'acquisto di macchinari per il taglio ed il trasporto.

Certo, tanti sono gli addetti e qualcosa si mettono in tasca. Ma la gran massa di queste opere viene eseguite da imprese nate dal nulla, che utilizzano gente straniera, pagandola in nero e a resa.

Soldi di cui praticamente non resterà traccia nel parmense.

I versanti li troviamo spogliati, le deformate.

Nessun giovamento alla vita dei paesi, né lavoro per trattenere i giovani.

La legge c'è, permette ai proprietari dei boschi di tagliare fino ad un massimo di 6 ettari.

Ma è una legge che non tiene conto della speculazione sulla legna da ardere.

Se il mercato inducesse la gran parte di chi possiede boschi a tagliarli per far soldi, complice una ulteriore recrudescenza della crisi economica, e tutti tagliassero, chi li potrebbe fermare?

Non certo questa legge.

Occorrerebbe preoccuparsi di non intaccare la rinnovabilità dei boschi e di non accrescere il degrado idrogeologico, come sarebbe necessario un piano annuale dei tagli che tenga conto di limiti certi e non possa essere eluso e superato.

Molti amministratori invece sostengono le tesi dei tagliatori.

"L'abbandono dei boschi è palese e non è positivo. Una politica delle comunità montane che possa permettere la nascita di qualche centrale a biomassa che permetta la produzione di elettricità e di teleriscaldamento non farebbe male e permetterebbe di monitorare e tenere puliti i boschi, garantendo la giusta turnazione delle piante, la pulizia del sottobosco ed in ultimo ma non meno importante garantire lavoro a territori che continuano a spopolarsi a causa di mancanza di lavoro".

Finanziamenti di Regione e Provincia per la montagna sono, infatti, solo finalizzati dotare di macchinari di taglio le comunalie e soprattutto ad impiantare centrali termiche a cippato.

Non si comprende cosa voglia dire creare posti di lavoro nel taglio dei boschi.

Il lavoro lo crea già il taglio speculativo e selvaggio, lo crea il mercato della legna da ardere.

Dotare di mezzi meccanici di taglio una comunalia significa dare man forte a tale mercato senza regole, incentivare le comunalie a far parte di tale meccanismo perverso.

D'altronde, la cosa è del tutto coerente alle affermazioni di funzionari ed amministratori.

Qualcuno sostiene "siamo seduti su un nuovo petrolio e neanche ce ne accorgiamo".

Altri affermano che potremmo anche tagliare tutto quello che è ricresciuto nei boschi da quarant'anni a questa parte senza preoccupazione alcuna per la rinnovabilità.

Anche se la rinnovabilità annuale, il 4% di tutta la massa boschiva, è decretata dalla Regione come non superabile.

Ormai chi abita in montagna per riscaldarsi non usa più il gpl, né tanto meno il gasolio, entrambi carissimi. La gente è tornata a bruciare legna nei camini, nelle stufe, dotandosi anche di moderne stufe a pellet o stufe miste pellet-legna.

In montagna, da sempre, si usa legna che brucia bene, legna stagionata due anni: un anno all'aperto, uno al chiuso, in modo che il tenore di umidità sia inferiore al 20% ed il rendimento di calore sia alto.

Perché allora impiantare centrali a cippato per produrre calore per il teleriscaldamento, con potenze da 500 Kw a 1.000 Kw?

Per avere meno emissioni nocive rispetto alle vecchie stufe a legna?

Ma le centrali bruciano cippato fresco, con umidità elevata, basso rendimento, senza alcun filtro per abbattere le emissioni nocive.

Il filtro multiciclone serve solo a raccogliere le ceneri volanti.

Le centrali sono completamente automatizzate e non creano posti di lavoro.

Perché buttare tutti quei soldi nelle centrali termiche e non nel risparmio energetico?

Perché non avviare la ristrutturazione dei borghi per un'accoglienza turistica diffusa che creerebbe subito posti di lavoro nell'edilizia?

L'intento inconfessabile delle amministrazioni è produrre con le centrali anche elettricità, come sta facendo Monchio.

Ma sarebbe una follia.

La legna ha un rendimento bassissimo e bruciare i nostri boschi per produrre poca elettricità non porta da nessuna parte.

Solo verso il baratro ecologico.

Giuliano Serioli

(Fonte: Rete Ambiente Parma)


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