Martedì, 14 Aprile 2015 09:34

A Reggio Emilia aperto il festival della legalità "Noicontrolemafie" In evidenza

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Ad aprire il quinto festival della legalità, un interessante convegno dedicato ai bambini della 'ndrangheta e in particolare al caso scuola del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, che prova a dare una nuova opportunità a ragazzini destinati ad essere uccisi o a finire in carcere. -

Reggio Emilia, 14 aprile 2015 -

Si è aperto ieri il festival della legalità "Noicontrolemafie", promosso per il quinto anno dalla Provincia di Reggio Emilia con la direzione scientifica di Antonio Nicaso, scrittore e studioso di fenomeni criminali.
La rassegna da quest'anno ha aggiunto alla classica denominazione la dicitura "Comuni e Cittadini reggiani" per sottolineare l'impegno di una intera comunità che sta offrendo numerosi e concreti segnali di crescente consapevolezza e responsabilità nella lotta all'infiltrazione criminale sul proprio territorio.

L'Aula magna dell'Università di Reggio Emilia, gremita di studenti delle superiori, è stata sede di un'interessante convegno su "Bambini e mafie: i falsi miti della 'ndrangheta" che ha visto magistrati, docenti universitari e giornalisti confrontarsi sul delicato ruolo degli adolescenti nelle famiglie di mafia.

Ad aprire la giornata, del presidente della Provincia di Reggio Emilia, Giammaria Manghi, che a pochi giorni da un 25 aprile che celebrerà i 70 anni della Liberazione, ha sottolineato la necessità di "ricordare, ma soprattutto di riattualizzare specie per i giovani, il significato e i valori della Resistenza alla luce anche della recente indagine Aemilia che ha confermato la presenza anche piuttosto eversiva della mafia nel nostro territorio". "Settant'anni fa tanti reggiani combatterono per la pace, la libertà e la democrazia, oggi occorre essere partigiani della legalità, per scardinare questa forza silenziosa che prova ad attecchire anche nel nostro territorio". Il presidente della Provincia ha infine ricordato le diverse iniziative concrete messe in campo dalle istituzioni reggiane per contrastare ogni pericolo di infiltrazione: dall'attenzione nei confronti di sale-scommesse e videolottery, nelle quali tende ad insinuarsi la criminalità organizzata, all'ancora più restrittivo Protocollo in materia di appalti pubblici che, insieme a Comuni e Prefettura, stiamo predisponendo per intensificare i controlli anche in materia urbanistica, dalle autocertificazioni ai subappalti, ai piani attuativi".

L'impegno della Regione Emilia-Romagna è stato sottolineato dalla consigliera Ottavia Soncini: dal Girer, il gruppo interforze per la ricostruzione in Emilia-Romagna istituto per contrastare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata nella ricostruzione del dopo-sisma, ai tanti progetti messi in campo, "laboratori, attività di formazione, ma anche campi di volontariato in particolare per il riutilizzo dei 40 beni immobili confiscati alla mafia nella nostra regione". La consigliera regionale ha quindi indicato anche nel "rinnovamento della vita politica un indispensabile strumento di contrasto alle mafie, perché accorciare i tempi di permanenza in cariche pubbliche e promuovere alternanza significa ridurre i pericoli di infiltrazione e commistioni".

Dopo il saluto del direttore del Dipartimento di Educazione e Scienze umane di Unimore, Giorgio Zanetti, che ha sua volta sottolineato i pericoli della "mafia quale sistema totalitario", ha introdotto i relatori il direttore scientifico di "Noicontrolemafie", Antonio Nicaso, per il quale "l'operazione Aemilia ha rappresentato un brusco risveglio in questa terra di Resistenza". "Ai nuovi partigiani della legalità chiediamo il coraggio e la coerenza di vedere e capire le cose", ha aggiunto. Capire, ad esempio che le mafie "non sono il prodotto di una mentalità e di un territorio specifici, né sono il frutto di una mancanza di senso civico, perché l'antimafia è vecchia quanto la mafia". "Le mafie sono dappertutto perché hanno sempre avuto un aspetto presentabile e, soprattutto, perché sono sempre state legittimate e riconosciute dal potere, non combattute come avvenuto ad esempio con il terrorismo – ha detto Nicaso – Le mafie si radicano solo se riescono a stabilire relazioni con chi gestisce denaro e potere, e vengono anche qui in Emilia, in questa terra appetibile, per corrompere e infiltrarsi; bisogna quindi smettere di difendere a oltranza il territorio, ma avere volontà di resistere e di investire nelle scuole e nei giovani, che insieme alla società civile e alle istituzioni sono fondamentali per contrastare le infiltrazioni".

Prima relazione quella di Giuliana Adamo, docente del Trinity College di Dublino, che ha affrontato il tema della pedagogia del disonore, attuata di chi perpetua certi valori e principi per creare nuove generazioni di mafiosi: "Per salvare questi bambini, che crescono con i tatuaggi dei volti di carabinieri sotto i piedi in modo da calpestarli mentre camminano e che sputano per terra quando vedono passare una macchina della polizia, bisogna toglierli dall'ignoranza e la scuola è fondamentale per farli uscire da questo clima di guerra permanente, con una sorta di trincea che separa loro, i cosiddetti buoni, dal resto del Paese", ha tra l'altro detto.

Roberto Di Bella, presidente del Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, ha quindi illustrato quella che Nicaso ha definito una "piccola grande, rivoluzione", ovvero la serie di provvedimenti con i quali una ventina di minori sono stati sottratti a famiglie mafiose e affidati ad altre famiglie lontano dalla Calabria. "Tutti ragazzini coinvolti in sequestri in Aspromonte, dediti al racket per conto del padre in carcere o che hanno ucciso forze dell'ordine o che si sono prestati come sicari in faide locali – ha spiegato – La 'ndrangheta, purtroppo, si eredita, allora abbiamo deciso, come giudici, di censurare i modelli educativi mafiosi così come censuriamo i genitori violenti o alcolisti: negando la patria potestà e, nei casi più estremi, allontanando questi ragazzini dai loro nuclei familiari, e dunque da un indottrinamento malavitoso e dal coinvolgimento in affari illeciti, per inserirli in case-famiglia o affidarli a famiglie di volontari in modo da aver la possibilità di sperimentare, con percorsi educativi individualizzati, contesti sociali, culturali e affettivi differenti".

"Questi ragazzini non sospettano che fuori ci sia un mondo che funziona con regole diverse, perché tutti i loro familiari sono intrisi di cultura mafiosa, ed anche la scuola e la chiesa purtroppo raramente segnalano condotte irregolari. – ha continuato Di Bella – L'unico modo per aiutarli diventa dunque il processo penale, che si trasforma in opportunità educativa: la nostra linea giurisprudenziale, paradossalmente seguita con maggior attenzione dall'estero, ci espone a critiche, ci accusano di deportazioni di minori e confische di figli, ma i nostri sono provvedimenti temporanei a tutela dei ragazzi e non contro le famiglie. Lo Stato non può condivider che i figli vengano educati per diventare dei killer e abbiamo una solida copertura normativa tanto nazionale, gli articoli 2 e 30 della Costituzione, quanto internazionale, come la Convenzione per i diritti dei fanciulli del 1989".

Incoraggianti, secondo Di Bella, i risultati dei primi venti casi trattati: "I ragazzi svolgono attività socialmente utili, seguono percorsi di educazione alla legalità, mostrano di possedere talenti e potenzialità, ma anche tanta sofferenza, per aver respirato cultura di morte e sopraffazione fin dalla culla: la stessa sofferenza che riscontriamo anche in alcune madri, provate da morti e carcerazione dei congiunti, che non si oppongono nella speranza di sottrarre i loro figli i ad analogo destino, quasi sollevate dal non dover compiere scelte educative laceranti", ha concluso il giudice, sottolineando come "la giustizia minorile abbia potenzialità inespresse e inesplorate nella lotta alle mafie" ed auspicando che "il legislatore, nell'affrontare il tema, non disperda le professionalità che si sono create".

Susanna Pietralunga, docente di Criminologia minorile dell'Università di Modena e Reggio Emilia, si è soffermata sulla delicatezza dell'età adolescenziale, "questo tempo ambiguo, incerto, contraddittorio e vulnerabile, che meriterebbe ogni genere di attenzione e di investimento possibile": "Pericolosità e forza della mafia stanno nella capacità di trasformarsi e di radicarsi nel terreno economico e nel mercato legale, l'auspicio è che usciate da quest'aula con una consapevolezza accresciuta della presenza di questo rischio, soprattutto voi adolescenti, caratterizzati da condizioni psicologiche che vi espongono in modo particolare a suggestioni culturali e desideri di trasgressione", ha terminato rivolge dosi agli studenti.

Ha chiuso la mattinata la giornalista e scrittrice Angela Iantosca, che ha ricordato le proprie esperienze alle Vele di Scampia "tra bambini di cinque anni costretti a giocare tra le siringhe" e soprattutto con i giovani calabresi, a partire da Riccardo Cordì (autore anche di una toccante lettera al Corriere della sera), coinvolti nel progetto promosso dal Tribunale dei minori di Reggio Calabria. "Questi bambini, questi ragazzi non vanno giudicati o peggio ancora condannati, vanno aiutati e salvati – ha detto – Come? Ad esempio come sta facendo il giudice Di Bella, dando loro la libertà di scelta, la possibilità di conoscere la bellezza e di riscoprire amore e sentimenti, di capire che si può essere rispettati ed amati non per il cognome che si porta, ma per la persona che si è". Chiesa e scuola, ma soprattutto lo Stato devono fare di più, ha concluso l'inviata di "La vita in diretta", "perché arrivati a 18 anni questi giovani non possono essere abbandonati": "Lo Stato deve dotarsi di figure sociali forti e preparate che assistano questi ragazzi, deve dar loro opportunità di lavoro".

La settimana della legalità, organizzata da Caracò Editore e con il coordinamento di Rosa Frammartino, fino a sabato attraverserà l'intera provincia di Reggio Emilia, con iniziative importanti come la campagna di sensibilizzazione del mondo economico per l'esposizione di un logo-adesivo "Io scelgo la legalità" che oggi pomeriggio a Sant'Ilario vedrà affiancati in un passeggiata della legalità, ragazzi reggiani e ragazzi palermitani di Addiopizzo Junior e Young! Sei giorni, dunque, di un vero e proprio tour della legalità che vedrà la partecipazione di centinaia di cittadini e studenti delle scuole medie e superiori che potranno condividere con le proprie comunità il frutto dei laboratori di lettura, scrittura, teatro e giornalismo, seguiti, nel corso dell'anno scolastico, con la guida dei propri docenti e dello staff di educatori dell'Associazione Caracò. Un'esperienza di pedagogia civile che la Provincia di Reggio Emilia, insieme a Regione Emilia-Romagna e Comuni, sostiene da anni con un investimento di energie e risorse, economiche e professionali e che ha consentito di coinvolgere oltre ventimila studenti delle scuole superiori reggiane, in un percorso di conoscenza della mafia e delle sue molteplici e violente declinazioni.