Domenica, 08 Marzo 2015 09:08

LA LOTTA AL PIZZO SECONDO CHI L'HA SCONFITTO

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Acagnino e Barchitta Acagnino e Barchitta


A Gualtieri sono intervenuti l'imprenditore Barchitta e il giudice antimafia Acagnino

di Federico Bonati - 

Gualtieri (RE) – Tra le tante pratiche becere perpetrate dalla mafia, il pizzo, o racket o estorsione che dir si voglia, è senza dubbio una delle azioni più viscide. Non tanto per la continua cessione di denaro, o beni materiali, al malavitoso di turno, quanto per la perdita di valori e di dignità alla quale è spinto chi, suo malgrado, entra in tale vortice. Ma c'è chi dice no, chi si oppena a tutto questo, persone come Rosario Barchitta e il giudice Marisa Acagnino, ospiti della città di Gualtieri per parlare della loro lotta al pizzo e, ovviamente, alla mafia.

Ad introdurre l'evento il sindaco Renzo Bergamini, il quale non può non fare riferimento ai fatti legati alla malavita nel territorio reggiano sorti agli onori, o meglio ai disonori, delle cronache. Se da un lato esprime soddisfazione e sollievo nel constatare che nessun sindaco e nessun amministratore sono coinvolti nell'indagine, dall'altro ammette l'importanza di continuare a parlarne ed evitare di essere omertosi, ribadendo quanto detto dal giudice Di Matteo pochi giorni addietro.

La parola passa poi a Rosario Barchitta, per tutti "Saro", imprenditore del movimento terra a Scordia, nel catanese, che nel 1985 iniziò la sua caduta vorticosa nel tunnel dell'estorsione, attuata nei suoi confronti da parte di affiliati del clan Di Salvo. Una storia fatta di perdita di valori e di dignità, con l'incapacità di "Saro" nel proseguire a guardare negli occhi le sue figlie, ma anche una storia di minacce e di atti dolosi verso i suoi mezzi di lavoro. Poiché i mafiosi sanno che, per quanto riguarda l'estorsione, si inizia con poco e si arriva a tutto, ma a questo tutto con "Saro" non ci arriveranno mai. Nel 1989 denuncia e testimonia al processo. Da quel momento la sua vita cambia, in meglio. Perché i mafiosi se denunciati, se messi in minoranza si vergognano ed hanno paura. Oggi "Saro" vive la sua vita serena, amato e sostenuto dal suo paese, e va nelle scuole a raccontare la sua storia per dare la spinta verso la legalità a tutti i giovani. Barchitta risponde poi ad una domanda in merito a quanto successo recentemente con il caso Helg a Palermo, nella quale si ipotizzava che la mazzetta fosse il nuovo pizzo: "Ma certo. I corrotti della pubblica amministrazione fanno parte di una nuova mafia. Una mafia che, senza questi collegamenti basati sulla corruzione, non ci sarebbe più".

Dopo "Saro", è il turno di Marisa Acagnino, giudice della procura antimafia di Catania. Il suo discorso parte dalla considerazione che, al giorno d'oggi, è difficile distinguere il mafioso dalla brava persona, ricollegandosi al concetto di borghesia mafiosa. Una borghesia nella quale profilerano le imprese e gli affari mafiosi poiché, come abbiamo visto anche in Emilia, dove c'è una situazione florida a livello economico è lì che si inseriscono le attività della malavita organizzata. Infatti, secondo il giudice Acagnino, oggi si è passati dal pizzo ai contratti di fornitura, arrivando quindi ad un modo più sottile di controllo dell'economia. E attacca dicendo che quegli affari non sono cose loro, ma cose nostre, interesse di tutti gli italiani perbene e onesti. Dopo gli scorscianti applausi, inizia l'acceso dibattito con il pubblico, desideroso di sapere e di conoscere, soprattutto dopo gli echi dell'Operazione Aemilia, la quale ha segnato nelle ultime ore un nuovo sviluppo, con il carcere duro, il tanto temuto 41 bis, applicato dal ministero della Giustizia, a cinque dei maggiori rappresentanti dei clan coinvolti nell'operazione svoltasi in provincia di Reggio Emilia.