Giovedì, 12 Settembre 2019 12:02

Cannabis light, il tribunale del riesame ha confermato la tesi della Procura di Parma In evidenza

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Con ordinanza depositata in data 9.9.2019, il Tribunale del riesame di Parma (Presidente Mastroberardino – relatore Purita) ha confermato pressochè integralmente il provvedimento di sequestro “probatorio” adottato dalla Procura della Repubblica di Parma in data 19 luglio 2019, eseguito il successivo 23 luglio, nei confronti di diverse persone che detenevano per la vendita, ed effettivamente ponevano in vendita, confezioni della c.d. cannabis light.


Dei numerosi indagati destinatari del provvedimento, solo quattro avevano presentato istanza di riesame.
Il Tribunale ha accolto le argomentazioni presentate dalla difesa di Anceschi (limitatamente alla detenzione di due barattoli contenenti Betrocan, rilevando la riconducibilità del prodotto alla categoria dei farmaci), nonché della stessa Anceschi e della difesa di Saccani (limitatamente alla detenzione dei semi, rilevando l’assenza di THC e la mancanza di elementi da cui desumere la configurabilità della istigazione alla coltivazione).
Per tutto quanto altro sequestrato ai quattro indagati ricorrenti, il Tribunale ha rigettato le istanze di riesame presentati dai difensori, confermando il provvedimento di sequestro.


Con articolate argomentazioni (sia pure con sfumature differenti) esposte anche in memorie scritte, le difese contestavano la legittimità del provvedimento della Procura di Parma sotto diversi profili:
- carenza di motivazione;
- legittimità dell’attività di vendita della cannabis light a seguito dell’entrata in vigore della legge n° 242/16;
- mancanza di elementi sulla destinazione della cannabis al c.d. uso ricreativo (ovvero al consumo da parte degli acquirenti);
- non condivisibilità della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite depositata a luglio 2019 (nella parte in cui la Suprema Corte ha statuito l’illiceità della detenzione e della vendita di infiorescenze, olio e resina, salvo che tali derivati siano in concreto privi di efficacia drogante);
- in ogni caso, non condivisibilità di una lettura restrittiva di tale sentenza, essendo necessario il previo accertamento della percentuale di THC presente, che non dovrebbe essere inferiore allo 0,5%, tesi -quest’ultima- sostenuta dal Tribunale del riesame di Genova pur dopo l’intervento delle Sezioni unite;
- sproporzionalità del provvedimento di sequestro, in quanto -proprio in vista degli accertamenti tecnici sulla percentuale di THC- sarebbe stato sufficiente il sequestro di campioni di sostanza e non di tutta la sostanza rinvenuta, anche in tal caso sulla base di quanto argomentato dal Tribunale di Genova.

Il Tribunale del riesame invece, accogliendo integralmente la posizione della Procura di Parma (rappresentata in udienza dal Procuratore della Repubblica e dal Sostituto Procuratore Francesca Arienti, che hanno depositato una memoria scritta) ha confermato la piena legittimità del provvedimento di sequestro.
In particolare, il collegio:
- ha richiamato integralmente la pronunzia delle Sezioni unite, nella parte in cui si sostiene testualmente che ““in tema di stupefacenti, la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall'art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività. (In motivazione, la Corte ha precisato che la legge 2 dicembre 2016, n.242, qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall'art.2 della predetta legge)”;
- ha evidenziato come, sulla scorta di tale pronunzia, la liceità ai sensi della legge n° 242/16 riguarda esclusivamente la coltivazione della canapa nelle varietà del catalogo –tassativo- indicato dall’art. 1 comma 2 della normativa e la realizzazione e la commercializzazione delle sette tipologie di prodotti –con elenco altrettanto tassativo- indicati all’art. 2 comma IV della stessa; si tratta in sintesi di attività concernenti la coltivazione di canapa sativa finalizzata alla produzione agroalimentare di fibre o altri usi consentiti dall’Unione Europea;
- ha rimarcato la circostanza che, per scelta riferibile al legislatore, l’attuale panorama legislativo non consente affatto una generalizzata commercializzazione della canapa (contrariamente a quanto assumevano alcune difese);
- ha chiarito che il principio di diritto affermato dalle sezioni Unite della Cassazione è perentorio e non può lasciare spazio a dubbi, e ciò a prescindere dal dalla soglia del cosiddetto principio attivo, per cui la vendita di infiorescenze, olii e resine di cannabis, benchè light, si pone al di fuori delle maglie di liceità tracciate dalla normativa di cui alla legge 242/16;
- ha specificato pertanto che non è fondata la ricostruzione difensiva secondo cui, al di sotto della soglia dello 0,5% di THC, la commercializzazione delle infiorescenze di cannabis sarebbe lecita, in quanto tale soglia va riferita esclusivamente alle categorie tassativamente elencate nella legge 242/16 (e in tali categoria non è affatto compresa la produzione e vendita di infiorescenze, oli, resine);
- ha ribadito che il giudizio di rilevanza penale della detenzione e vendita di tali prodotti prescinde al principio attivo della sostanza;
- ha fatto presente che, quanto alla effettiva capacità drogante, il sequestro disposto dalla Procura mira a verificarne la sussistenza mediante accertamenti tecnici, che peraltro la Procura ha puntualmente avviato;
- ha condiviso le osservazioni fatte dalla Procura nella memoria depositata in udienza, nella parte in cui la Procura ha fatto osservare che, in presenza di quantitativi rilevanti di cannabis, la capacità drogante non possa essere apprezzata in moto parcellizzato in relazione alla percentuale di THC contenuta nelle singole dosi potenzialmente acquistabili dai clienti, ma debba essere messa in relazione al peso complessivo della sostanza detenuta dai venditori (in memoria, il Pubblico Ministero aveva testualmente osservato: “Basti pensare alla posizione di Marola (che è il principale indagato della complessiva vicenda), cui sono state sequestrate sostanze pari a circa 650 kg complessivi, con confezioni e blocchi di peso consistenti, per i quali non si vede come si possa prescindere dal peso pur se dovesse esserci una percentuale bassa di THC. Ma anche negli altri casi (si pensi ai sequestri presso i distributori automatici), una volta esclusa la possibilità di ricorrere alla percentuale di TCH per valutare la capacità drogante (e ciò, lo si ribadisce ancora, sulla base delle inequivoche affermazioni delle sezioni unite) non resta che il peso complessivo cui ancorare la capacità drogante, non potendosi certamente scindere il quantitativo complessivo detenuto e messo in vendita in bustine dal peso infinitesimale. Infatti il quantitativo non va visto in relazione all’acquirente ma in relazione al venditore”);
- su tale specifico punto, ha ribadito che una pur bassa percentuale di THC non esclude la capacità drogante della sostanza, se l’idoneità a produrre effetti psicotropi venga rapportata al peso complessivamente detenuto per la commercializzazione;
- ha evidenziato che le sentenze della Corte di cassazione citate dalle Sezioni unite, in tema di necessità di accertamento sulla capacità drogante, in realtà facevano sempre riferimento a sequestri di ridottissime quantità di stupefacente, per cui, in tali casi, era effettivamente necessario accertare la pericolosità della condotta;
- prendendo spunto dal caso esaminato dalle Sezioni unite (in cui si discuteva della detenzione per la vendita di 13 kg di cannabis), ha statuito che quando venga accertato (come nel presente caso) che la commercializzazione riguardi quantitativi consistenti, l’effetto drogante va correlato al peso della sostanza detenuta, che esprime la potenzialità della diffusione della sostanza, in cui risiede la pericolosità per la salute pubblica;
- ha concluso col sottolineare che, se non si tenesse presente il quantitativo complessivamente detenuto dal singolo indagato, vi sarebbe una disparità di trattamento rispetto allo spacciatore di strada (per il quale invece la contestazione del reato riguarda l’intero quantitativo detenuto e non la singola dose smerciata);
- per quanto riguarda la contestata sproporzionalità del sequestro, ha osservato che il sequestro di tutto il materiale rinvenuto disposto dalla Procura è giustificato in quanto: a) non è possibile scindere la valutazione sulla effettiva capacità drogante dal quantitativo complessivo di sostanza rinvenuta; b) vi è l’esigenza di rendere le analisi sulla composizione della sostanza il più possibile approfondite; c) se gli accertamenti disposti dal Pm confermassero l’effettiva capacità drogante della sostanza, l’intero materiale sequestrato sarebbe soggetto a confisca obbligatoria;
- il sequestro è legittimo non solo per quanto riguarda la cannabis, ma anche per quanto riguarda tutti quegli accessori (cartine, macinini, accendini, estrattori, grinder, gas butano) destinati a consentire il fumo della cannabis stessa (ovvero il cosiddetto uso ricreativo).


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L’ordinanza del Tribunale di Parma, a parere della Procura, costituisce un punto fermo nel panorama giurisprudenziale sul delicato profilo della cannabis light.
Dopo la sentenza delle Sezioni Unite -che aveva definitivamente chiarito la sussistenza del reato per la detenzione a fini di vendita di infiorescenze, oli e resine derivati dalla cannabis- la questione della liceità di tale detenzione (che, in teoria, non sarebbe dovuta essere più riproposta) era stata invece nuovamente prospettata a livello mediatico, anche ponendo l’accento su aspetti socio-economici, quali la asserita perdita di posti di lavoro legati alla chiusura dei tanti esercizi commerciali destinati alla vendita dei suddetti prodotti.
Partendo da una precisazione che le Sezioni Unite avevano fatto (e cioè la necessità che il materiale venduto avesse capacità drogante, circostanza peraltro non nuova, ma sempre attentamente vagliata dai Giudici), i sostenitori della linea della liceità si erano diffusamente soffermati su una pronunzia di un Tribunale del riesame che, successivamente alla sentenza delle Sezioni unite, aveva ancora sostenuto la necessità che la sostanza dovesse contenere la percentuale di almeno lo 0,5% di THC per essere considerata illecita.
Nel corso della procedura di riesame dinanzi al Tribunale di Parma, la Procura ha invece documentato come quella ordinanza appena citata fosse sì successiva alla sentenza delle Sezioni unite, ma precedente al deposito delle motivazioni, per cui quel Tribunale -nell’affermare che la illiceità dovesse essere collegata al superamento della soglia dello 0,5% di THC- non aveva potuto tener presente il preciso e specifico indirizzo delle Sezioni unite che, proprio con riferimento alla percentuale di THC, avevano affermato testualmente che “la valutazione sulla rilevanza penale delle condotte di detenzione finalizzata alla cessione dei derivati della coltivazione di cannabis sativa l., erroneamente è stata ancorata al superamento dei valori percentuali di THC richiamati all’art. 4, commi 5 e 7, legge n. 242 del 2016, laddove detti valori riguardano -esclusivamente- il contenuto consentito di THC presente nella coltivazione e non quello dei prodotti illecitamente commercializzati, come sopra chiarito”.
Peraltro la pronunzia del Tribunale di Parma non è isolata nel panorama emiliano, posto che, in data 31.7.19 (e dunque dopo il deposito delle motivazioni da parte della Suprema Corte a sezioni Unite) il Tribunale di Reggio Emilia aveva confermato un sequestro della PG convalidato dalla locale Procura.