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Domenica, 02 Agosto 2020 13:57

Per una vera unità d’Italia. In evidenza

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Raccontare fatti e misfatti della storia del Mezzogiorno, di una terra "dove - come affermava il milanese Giuseppe Ferrari - si viaggiava sulle montagne coll'oro in mano", è davvero necessario.

A volte, per coprire la “verità storica” del mancato sviluppo economico del Mezzogiorno d'Italia, c'è chi scrive di “latifondo politico” (come nell’editoriale del 31.07.2020, a firma di Fabrizio Pezzani, pubblicato dalla Gazzetta di Parma), ignorando la storia politica ed economica del Sud Italia. Per loro, non è importante approfondire i motivi dell'aggressione e annessione del Sud, la spoliazione delle sue ricchezze e delle sue industrie, la distruzione di uno Stato sovrano, pacifico e laborioso e tant'altro, bensì del modello politico non espressione della cultura del Sud, ma del progetto politico del Nord, imposto alle classi dirigenti del Sud.

A decostruire la visione ottocentesca della storia del Mezzogiorno, creata nel 1860 qui a Nord e nelle stanze sabaude, basta il pensiero dell'avellinese Guido Dorso, consapevole che le ragioni del mancato sviluppo del Sud sono, prima di tutto, l'ignoranza delle profonde ragioni storiche e politiche, accettate e propagandate dalle classi politiche dirigenti e da una scuola ideologica e negazionista.

Guido Dorso lo ha detto e scritto in modo chiaro: “Solo quando questa ignoranza sarà scomparsa così nei politici meridionali, decisi a rivendicare, nei confronti di altre regioni italiane, le profonde ragioni di giustizia che costituiscono il complesso della questione meridionale, come nei politici settentrionali, finalmente convinti di distruggere i privilegi di alcuni ceti delle loro regioni, sarà creato il clima politico adatto per la distruzione dell'Italia storica, e per la creazione ideale sognata negli albori del Risorgimento”. Ragioni storiche per lunghi anni taciute che fanno del Mezzogiorno un problema aperto.

Ancora oggi, i vissuti politici, economici e demografici del Sud vengono narrati alle nuove generazioni come un fantastico racconto epico, che sfociò nel mito dell'Unità d'Italia e dei suoi governi liberali e repubblicani. Quell'invasione, invece, la monarchia sabauda la volle non per gli ideali dei patrioti risorgimentali, ma per appropriarsi delle ricchezze del Sud e pagare i grandi debiti, di oltre 910 milioni, del Regno di Sardegna, contratti con l'Inghilterra. Per tale ragione, la "Spedizione dei Mille" venne agognata e pianificata, usando e contraddicendo gli ideali liberali dell'Ottocento, dalle Cancellerie inglese e piemontese con lo scopo di conquistare il Sud: lo fecero appropriandosi delle ricchezze del Regno delle Due Sicilie, corrompendo gli alti gradi militari, patteggiando con mafiosi, camorristi e chiudendo le settemila scuole per sette anni.

Altro che “latifondo politico”.
E' risaputo, l'unificazione dell'Italia è stata una guerra di conquista, condotta dal Piemonte contro i popoli degli stati sovrani del Centro–Sud. “Fu genocidio: centinaia di migliaia di italiani del Sud uccisi, incarcerati, deportati, torturati, derubati.”

Vocaboli che i governi di oggi trasformano in proiettili e violenza con la loro lucida e documentata iniquità fiscale a danno della gente del meridione.

Marco Esposito, già giornalista del “Sole 24 ore” dopo aver seguito le attività parlamentari e analizzato gli atti legislativi di quest'ultimo periodo, scrive: “Nel Mezzogiorno prima sono sparite le banche, poi le grandi aziende, quindi si è tagliato su strutture sanitarie, autobus, treni e sono diventate a rischio scuole e università. Si è arrivati a raccogliere tasse al Sud per investirle nel Nord. In compenso abbiamo i veleni degli scarichi industriali. Per quanto tempo saremo disposti a sopportare?”. Domanda inquietante, quella del giornalista Esposito. Dopo la conquista del Sud, Giustino Fortunato diceva: “L' unità d'Italia è stata la nostra rovina economica”.
In questo tempo storico, dare per vero il retaggio dei miti risorgimentali e racconti ottocenteschi legati al sistema produttivo agrario non è la condizione determinante per l'analisi politica, sociale, culturale ed elettorale della elite del governo Conte. Tenere all'oscuro le popolazioni di ieri e di oggi della violenza subita e della scelta di minorità economica è stato ed è il cardine del sistema dei governi italiani degli ultimi 159 anni.

Nel 1912, il Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d'Italia, Giovanni Giolitti, raccomandava “molta prudenza nell'aprire gli archivi del Risorgimento, perché non è bene sfatare leggende che sono belle”. Quella falsa e bella leggenda, purtroppo, è viva nelle scuole e nelle università e nutre, tutt'oggi, la cultura politica e la pratica di governo con scelte antimeridionali, quale il federalismo fiscale, fine supremo dell'autonomia differenziata, chiesto dal Veneto, dalla Lombardia e dall'Emilia-Romagna.

Allontaniamo ogni dubbio: la questione meridionale nacque con il saccheggio del Sud e le sue popolazioni non erano “povere, arretrate e oppresse e molto indietro a quelle del Nord”. L'annessione del Regno delle Due Sicilie al Piemonte fu invasione, “conquista regia”, “riduzione a colonia interna. Carlo Brombini, amico di Cavour, disse: “I Meridionali non dovranno più essere in grado di intraprendere”. Quest' uomo era proprietario dell'Ansaldo (Piemonte) e fece in modo che le concorrenti Pietrarsa (Calabria), con oltre 1000 addetti prima dell'Unificazione, e Mongiana (Calabria) con 950 addetti, fallissero. Con la “conquista regia” l'apparato industriale del Regno delle Due Sicilie fu smantellato. Gennaro De Crescenzo, fondatore del movimento neoborbonico, scrive, Dai primati alle questioni Meridionali, è “chiaro che oltre 5000 fabbriche preunitarie meridionali deperirono rapidamente sotto i colpi prima di un liberismo sfrenato e poi di un successivo e immediato protezionismo sabaudo.” Questo giudizio di De Crescenzo non è privo di fonti storiche.

La stessa visione storica ed economica è stata esplicitata da Benedetto Croce, che scrisse: “Il Regno di Napoli non si dissolveva per un moto interno, ma veniva abbattuto da un urto esterno”.
"Dopo 159 anni, poco è cambiato. Il partito unico del Nord continua ad agevolare il trasferimento delle ricchezze dal Sud al Nord."

Continuare a scrivere e propagandare anacronismi storici, cercando nei modelli agrari le cause del dualismo Sud – Nord non è utile a costruire una nuova coscienza, una nuova identità italiana. Qualora le narrazioni del Paese unito dovessero continuare a essere causa di sottosviluppo e pregiudizi, l'Italia muore. A dirlo è la storia politica europea. Tante culture e esperienze indipendentiste, ricordano i Catalani, gli Scozzesi, i Baschi, i Corsi, ma anche i Sorbi e i Bretoni. I Meridionalisti lo dicono in modo chiaro: adesso inizia la fase politica. E ricordano che l'atto più violento dei piemontesi e dei suoi governi è stato togliere il nome alla propria terra per privare un popolo della sua identità.

Una delle loro tante iniziative politiche calendarizzate è far conoscere alle generazioni prossime che il nome Sud, Meridione, Mezzogiorno sono "subordinazione simbolica dovuta a una sottomissione". "Il nome della nostra terra - riferiscono - è Sicilia, da cui Due Sicilie a indicare i regni (di qua e di là del Faro) in cui fu diviso l'antico Stato dal 1303 al 1815". Nelle Due Sicilie si muove un pezzo di popolo, forse per riannodare il filo della storia spezzato con una guerra non dichiarata contro il Sud.

Parma, 01.08.2020

Matteo Impagnatiello

Matteo Notarangelo

(NB: in allegato allegato i due ritagli della Gazzetta di Parma con l'Editoriale a cui si fa riferimento) 

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