Giovedì, 18 Febbraio 2016 14:51

Imprese e crisi economica: investire nel sociale conviene In evidenza

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Tra i requisiti di un buon progetto di responsabilità sociale (CSR), al primo posto, ci sono la rilevanza sociale e la ricaduta sulla zona di riferimento, giudicata di importanza "elevata" da quasi il 70% del campione.

Di Alexa Kuhne Parma 18 febbraio 2016 - 
Investire nel sociale può sembrare, in un momento di congiuntura economica, una contraddizione.
Eppure, per una serie di ragioni, le imprese, dal fatale 2008, combattono le difficoltà e puntano su associazioni e organizzazioni no-profit, aiutandole.
Il sostegno economico alla collettività, sottoforma di denaro, laddove non arriva il Welfare, pare sia una possibilità di nuovi business, un volano, una forma di investimento che significa ritorno promozionale.

Già nel 2009 ben 7 aziende su 10 avevano puntato su iniziative di responsabilità collettiva. Lo dice il IV° Rapporto sull'impegno sociale delle aziende in Italia, sostenuto da colossi italiani quali Barilla, in prima linea, e poi Novartis, Sanofi Aventis, Terna e Vodafone.
Una ricerca - condotta tra 800 aziende con oltre 100 dipendenti - che coglie esattamente un fenomeno che ha le sue radici nel 2009, all'indomani della crisi economica, ma che è ancora in sintonia con il quadro finanziario attuale.
Nel 2009 è stato stanziato più di un miliardo di euro che si somma ad altri cinque miliardi fino ad ora investiti.

Un altro dato sorprende: a livello geografico, inaspettatamente, pare che il concetto di CSR (Corporate Social Responsability), cioè la responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società, sia più accettato dai manager delle imprese del centro sud che da quelli del nord Italia.

La crisi, insomma, ha reso strategica la CSR. Lo sostiene proprio il 40% delle imprese interpellate che ritiene che la crisi abbia generato, o perlomeno supportato, uno sviluppo dell'attenzione verso la responsabilità sociale.

Le iniziative sostenute dalle imprese riguardano soprattutto azioni di solidarietà sociale e azioni umanitarie, queste ultime spesso come atto di reazione ad eventi catastrofici, come il terremoto ad esempio.


Una compensazione fondamentale laddove gli apparati pubblici, mai come in questo momento difficile, sono inefficienti.
Un terzo delle imprese si è invece impegnato al proprio interno, con una serie di servizi volti a migliorare le condizioni lavorative del personale: l'attenzione è stata rivolta soprattutto alla sicurezza e salute sul posto di lavoro, strutture per i figli dei dipendenti, servizi particolari.

Curioso e significativo il fatto che le imprese non si limitino a "staccare l'assegno" ed erogare somme di denaro, ma partecipino attivamente all'ideazione e realizzazione dei progetti, spesso coinvolgendo coloro che ne sono i destinatari ultimi, ossia i dipendenti, seguendo una tradizione già molto radicata all'estero, specie tra le aziende americane che operano nel settore dell'information technology.



A ben guardare in questo quadro di attività sociali, il ritorno c'è, anche se non è immediato.
Per una serie di motivi. In primis, l'azienda si proietta sulla propria comunità di riferimento e questo è fondamentale per un suo radicamento territoriale. Attraverso un contributo si può, ad esempio, sostenere una onlus, dando lavoro, puntando sull'aiuto delle cosiddette fasce deboli, raggiungendo, alla lunga, l'obiettivo di una utile e solida visibilità a livello locale. 
Tra i requisiti di un buon progetto, al primo posto, dunque, ci sono la rilevanza sociale e la ricaduta sulla zona di riferimento, giudicata di importanza "elevata" da quasi il 70% del campione.

L'obiettivo sostanziale è la reputazione, la ricaduta reale sui dipendenti-
La prima motivazione a fare responsabilità sociale è "reputazionale" segno che è stata colta la centralità della responsabilità sociale nella costruzione del posizionamento dell'immagine aziendale (47%). In seconda battuta viene segnalato l'effetto sul business (27%) e sul clima interno (27%). Coerentemente, il principale criterio di scelta delle iniziative da sostenere o attuare è la loro visibilità (40%); poi l'area geografica (31%), ovvero il legame con il territorio, a sottolineare l'obiettivo di influire nei rapporti con i soggetti sociali locali; seguono la possibilità di coinvolgere il personale (28%) e quella di misurare i risultati dell'iniziativa (23%).
L'investimento nel sociale, in pratica, viene visto dai manager come un potente strumento di riposizionamento strategico.

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