Domenica, 12 Maggio 2013 08:47

Agilulfo e Teodolinda come Bonnie & Clide

Scritto da

di Pupio decimo folfo - Parma, 12 maggio 2013

 

La cronaca di una storia d'amore fra un Re che amò una giovane Regina, ma anche di come un'avida coppia, capace di ricattare un Papa, riuscì a farsi pagare a peso d'oro. Una vicenda che viene alla luce dopo oltre un millennio, presentandoci i longobardi per quello che erano: gli uomini delle lunghe barbe e non delle lunghe lance, com'era stato finora interpretato il loro nome

 

Fin dal secolo scorso si credeva che il termine longobardo volesse dire "popolo dalle lunghe lance", derivato dall'alto tedesco antico: barta (lancia).
Paolo Diacono, criticandoli, evidenziò che non si radevano mai non conoscendo in pratica l'usanza del rasoio. Infatti nella loro lingua lang significa lunga e bart barba.
Già, erano dei barbari... e visto che non si tagliavano nemmeno i capelli, immaginate cosa doveva pensare un romano, abituato alle terme e alla costante rasatura del viso.
Eppure furono i longobardi a riunificare l'Italia dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, molto prima di Garibaldi che arrivò dodici secoli dopo.
Ingiustamente e per troppo tempo, il pregiudizio e lo scarso viatico storico culturale, ci hanno abituati a una visione distorta sul loro Re Agilulfo e sulla loro Regina Teodolinda, ma anche sul loro popolo e su quanto ci hanno lasciato in eredità; una visione così distorta che mi preme di far chiarezza.
Il Re d'Italia Agilulfo, lontano parente del suo predecessore Autari, era di origine Turingia e apparteneva al clan degli Anawas.
Sempre Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, descrive in forma romanzesca l'investitura di Agilulfo. Siamo nell'autunno del 590 d.C.
Riuniti i duchi longobardi per espresso desiderio della regina Teodolinda, rimasta vedova dalle nozze con Autari, si presentò fra gli invitati anche Agilulfo, allora duca di Torino, che andò a rendere omaggio alla regina baciandole la mano in segno di rispetto.
Teodolinda gli chiese il motivo per cui lui le baciasse la mano, quando aveva invece il diritto di baciarle la bocca, e dicendogli questo innanzi a tutti, lo investì del diritto di essere Re e contestualmente suo sposo; matrimonio che consumarono nel novembre di quello stesso anno.
Quasi contemporaneamente un'incursione dell'esercito bizantino, forte di nuove armate inviate dall'Impero d'Oriente e guidate dal romano Gallicino, riportò le città di Modena e Mantova sotto il controllo dell'Esarcato d'Italia, ottenendo contemporaneamente, con la corruzione, la sottomissione dei duchi di Parma, Reggio e Piacenza, che passarono al servizio dell'esarca romano in cambio di una ricompensa in oro.
Solo nel 593 d.C. Agilulfo riuscì a liberare con le armi i suoi ducati e a ricacciare gli odiati greci bizantini.
La Regio decima Aemilia, istituita da Costantino nel 336 d.C. si trovò così divisa in due nuove regioni; da una parte i ducati di Piacenza, Parma, Reggio Emilia e Modena abitate da popolazioni eterogenee di Boi ed Etruschi: l'Emilia; dall'altra, da Ravenna (umbri/senoni) sino a Bologna, a governare rimasero i greci bizantini: la Romagna.
Sempre nel 593 d.C. Re Agilulfo, ormai scatenato, arrivò a minacciare la stessa Roma.
Papa Gregorio Magno, per evitare il sacco della città, dovette versare al Re Agilulfo, e Capo della Chiesa Cristiano-Ariana, 500 libbre d'oro ( 165 chili),
Teodolinda aveva scelto bene il suo sposo. Il papa capì subito l'influenza politica che la Regina longobarda avrebbe avuto, infatti è di quel periodo uno scambio di lettere fra Gregorio Magno e la Regina, che insieme costruirono un fruttuoso rapporto.
Nel 594 d.C. a Roma, il Papa incontrò il Re, che preferì accordarsi invece di tentare la conquista della città (c'era forse lo zampino di Teodolinda?).
Il contratto con il papa portò anche a un accordo di un anno di tregua con i bizantini di Ravenna, che fu rinnovato più volte.
Gregorio Magno, in cambio, ebbe riconosciuta la totale indipendenza di Roma.

Nel 598 d.C. quando i greci bizantini, sostituirono il vecchio esarca di Ravenna, con il più politico Callinico (noto anche come Gallinico o Gallicino?), fu lui a firmare l'ennesimo rinnovo della tregua con i longobardi, includendo anche Papa Gregorio Magno e la città di Roma.

Anche se, Paolo Diacono definì fermissima quella tregua, in realtà non durò poi molto.
Il nuovo viscido esarca aspettava solo il momento buono per agire e l'occasione arrivò nel
602 d.C.
La tregua fu rotta quando nel tentativo di costringere il governo longobardo a rinnovare il trattato di pace, alcuni duchi del Nord si ribellarono al Re, e spalleggiati dai Bizantini al comando di Callinico, fecero prigionieri, a Parma, il duca Godescalco e sua moglie, una delle figlie di Agilulfo.

La principessina e il duca vennero catturati in una "sala", termine che deriva dal longobardo saliz, che significa fattoria e dal celtico bagus (faggio): Sala Baganza (1)
Teodolinda era disperata. Aveva scelto Parma per la sua bambina, il ducato più bello, sicuro e tranquillo; ma i greci bizantini con la più vile delle azioni le avevano portato via la figlia.
Nel 603 La reazione di Agilulfo fu durissima; sconfisse e massacrò i ribelli passandoli a fil di spada.
Riconquistata definitivamente Parma, la principessa, poté fare ritorno a casa, ma nel 604 d.C. poco più che adolescente, morì di parto.
La sua tomba fu ritrovata nel 1950, e il ricco corredo, è oggi conservato al museo archeologico di Parma. (2)
Agilulfo morì a Milano nel 616 d.C., dopo 25 anni di regno, primo Re longobardo in Italia a morire di morte naturale.

(1)Il termine Baganza, dal nome del torrente sulla cui sponda si trova il paese, fu aggiunto per decreto reale solo nel 1862. Il nome è di etimo incerto, ma potrebbe derivare dalla radice celtica bagus (faggio), albero molto comune nella Val Baganza.
Liberamente tradotto da "La fattoria degli alberi"

(2) La storia di Parma longobarda nel trattato di Paolo Diacono, si apre con la sepoltura di una giovane principessa, cui un episodio narrato con precisione: potrebbe, infatti, trattarsi della tomba di una figlia di Agilulfo, morta di parto, a Parma, nei primi anni del VII secolo d.C.
Il sepolcro è stato scoperto fortunosamente nel 1950, sotto l'edificio della Questura, a 2,90 metri sotto il piano stradale ma i ritrovamenti finirono con tutto il resto in una discarica.
Ciò nonostante sono stati recuperati: una splendida fibula a disco, a decorazione cloisonné con granati e pietre alamandine; due anelli in lamina d'oro, uno dei quali con castone; brattee auree decorate a sbalzo; un frammento di guarnizione in bronzo dorato; bulle auree e vaghi di collana in pietra dura e pasta vitrea; una croce frammentaria in lamina aurea con forellini ai margini e fili d'oro già applicati al velo funebre. Nonostante il barbaro recupero, è stato possibile ricostruire che ai piedi della defunta era deposto un bacile bronzeo, del tipo "copto" di origine egiziana, ritenuto da alcuni studiosi oggetto rituale e collegato al battesimo dei bambini.
In una vetrina del museo archeologico di Parma, sono anche conservate due croci in lamina aurea a decorazione impressa di tipo zoomorfo, provenienti: la maggiore da una sepoltura longobarda scoperta a Parma in borgo Angelo Mazza (scavi 1992), e la più piccola dalla necropoli longobarda di Montecchio Emilia (RE) (scavi 1972).

Fonte museo Archeologico di Parma